Una visita alla Biennale di Architettura 2004.

Per un gruppo di giovani professionisti, la biennale di architettura è l’occasione per osservare e tentare di interpretare le sollecitazioni provocate da uno degli attuali momenti dell’architettura contemporanea internazionale, e verificarne gli eventuali spunti d’interesse nell’ambito professionale di ogni giorno.

Durante gli studi la facoltà di architettura, partendo dalla lezione dei maestri delle avanguardie, ci guidava, dall’analisi della storia e della tipologia del costruito alla progettazione delle grandi architetture, seguendo precisi percorsi; dopo la stesura del programma funzionale richiesto e la preparazione della base compositiva secondo le variabili classiche del progetto architettonico, era necessario caratterizzare l’immagine finale dell’edificio, con l’obiettivo di raggiungere una chiara riconoscibilità e forza nell’inserimento nel contesto. Per fare ciò, una prassi comune era quella di estremizzare una caratteristica del progetto, affinché la tematizzazione forzata di quest’aspetto diventasse la peculiarità riconoscibile dell’architettura. Alla luce di queste indicazioni riscontrabili, tra l’altro, anche negli edifici pubblicati dalle riviste di architettura più diffuse, i progetti diventavano opere che, autoreferenziandosi, acquistavano uno spessore ed una vita propria. Si provava allora una certa emozione nel disegnare l’omino lecorbuseriano con la mano alzata, davanti all'ingresso di un museo di scienze naturali, taglio orizzontale di trenta metri sul prospetto di un agglomerato gigante di pirite.

Sembrava proprio di fare una cosa nuova…ed interessante, soprattutto quando la possibilità di renderizzare il progetto rappresentato bidimensionalmente ci metteva davanti l’opera, solitaria, quasi compiuta, girata, fotografata, illuminata e virtualmente vissuta anche da dentro, liberi dalla staticità dei modelli. Il problema di difficile soluzione era ed è quello di rappresentare, con delle fotografie poste sullo sfondo, un ambiente urbano o naturale, un insieme di sensazioni che sfuggivano e sfuggono alle leggi matematiche dei sistemi di calcolo utilizzati dai vari programmi di disegno assistito.

Percorrendo i padiglioni dei Giardini e delle Corderie, l’impressione è che l’esame di progettazione architettonica sia parzialmente riuscito, riscontrando nell'ardimento tecnologico/strutturale l’espressione dell’esigenza di rappresentatività e protagonismo della nostra epoca. Certamente si è oramai palesato uno dei possibili sviluppi che l'era del digitale, al servizio della visibilità e del marketing, mette a disposizione. La libertà offerta dalle nuove tecnologie ha reso possibile la costruzione di quasi tutto quanto possa essere immaginato, la cassetta degli attrezzi di lavoro dell’architetto ha assunto dimensioni vastissime per contenere sia la grande offerta tecnologica di design del progetto architettonico, sia l'enorme quantità di nuovi materiali da costruzione o di modi di utilizzazione. Le costruzioni metamorfiche proposte dalla Biennale, mostrano un esempio di concrete possibilità, sicuramente per certi aspetti affascinanti, di definizione degli spazi architettonici atti a rispondere alle vecchie e nuove attività collettive. Ciò che per contro non abbiamo visto esposte in maniera esaustiva, sono le planimetrie a grande scala, dove forse parecchi di questi edifici avrebbero palesato una evidente estraneità rispetto al tessuto sedimentato della città. Questo non impone un inserimento mimetico, ma uno studio più approfondito di costruzioni che si avvicinano sempre più ad una scala paesaggistica ospitando funzioni che si intrecciano e si moltiplicano lungo percorsi fluidi e sovrapposti, fino a produrre tanti e diversi microcosmi. L’architetto progetta dunque frammenti di città dentro la città, spesso trascurando, anche volutamente, la possibile e necessaria connessione con il contesto.

Viene da chiedersi allora, se un individuo che non può / non deve / non vuole andare al cinema/teatro/ristorante, ma desideri solamente fare due passi, per prendere una boccata d’aria, debba forzatamente subire un attacco percettivo volumetrico ad ogni angolo, passando tra aggetti metallari mozzafiato e trasparenze curvilinee imbarazzanti; costruzioni che, in brevissimo tempo, potrebbero diventare ingombranti e soprattutto inevitabili presenze da subire.

Ciò che sembra ancora mancare è il tempo dell'approfondimento sulle potenzialità espressive dei nuovi mezzi progettuali e costruttivi. Le costruzioni che ambiscono a diventare architettura, presentate alla Biennale, le metamorfosi quindi, rappresentano un passaggio necessario, una fase forse al momento incontrollata, delle nuove possibilità dell’architettura globale che muove i primi passi dentro un nuovo mondo, che spinto dall’inevitabile necessità di essere, dimentica o non trova il tempo per lo studio del dettaglio anzi ponendo quest’ultimo in secondo piano e affidando tutta la forza compositiva ad atteggiamenti estremi che, esaurendosi dopo la fase dello stupore e della novità, produrranno testimonianze sgraziate ed eccessive della ricerca architettonica di questi anni.

Il progetto si rafforza quando aumentano le condizioni di vincolo/potenzialità del contesto e quando l’architettura che da ciò deriva riesce a rispondere alle molteplici richieste esogene al rapporto architetto-committente. Ci auspichiamo che gli architetti ed allo stesso modo gli uffici tecnici comunali, le sovrintendenze e i committenti che operano sul territorio nazionale, diventino realmente consapevoli della situazione di stasi dell’architettura nel nostro paese, che pur esprimendo episodi d’eccellenza non sufficientemente rappresentati in questa Biennale, non è più un punto di riferimento come lo è stata in passato.

Questo periodo potrebbe diventare una nuova "fase progettuale", un’occasione per fagocitare questo nuovo atteggiamento nel modo di produrre architettura filtrandola e assimilandola secondo i principi che hanno distinto l’architettura italiana nei più felici periodi storici dal rinascimento ad oggi, riuscendo a darle misura, umanità e soprattutto consapevolezza del ruolo che occupa nella città.

dicembre 2004 ONSTUDIO

Riccardo Montesello

Simone Stivano

Arianna Rossi