Valeriano Pastor

Una metamorfosi necessaria punta direttamente sulla direzione generale della Biennale: che i caratteri delle mostre, almeno quelli dell'Architettura abbiano un mandato che duri nel tempo, almeno per due edizioni. Si sente la mancanza di un progetto ampio, che sia conosciuto, che interessi, che interroghi e faccia produrre risposte appropriate agli autori, al popolo degli architetti, grandi maestri e giovani apprendisti, ordinando temi ovvero campi di produzione, decostruendo e ricomponendo questioni e risoluzioni.

La visita dei padiglioni suscita sconcerto, che specchia lo sconcerto in cui si devono essersi trovati i curatori delle mostre. Può essere un evento tale "gettar sconcerto", se si raccoglie la varia disomogeneità delle risposte e realizzazioni; se poi qualcuno con paziente cura le interpreta approfonditamente, direttamente dialogando con i curatori e traendo propositi per un programma: ricominciando da un bilancio delle esperienze. Fuksas – che sembra darsi una identità da acchiappanuvole – era teso ad un programma ampio, almeno per una seconda edizione; va dato merito al suo intento, prendendo atto del fatto che iniziative di ordinatori brillanti, quali sono stati Forster, Sudjic Fuksas e Hollein finiscono per confondere l'originalità del loro intento con la ricorrenza di opere già viste nella produzione mediatica, e non meglio analizzate, non oggetto di documentazione e "letture" ermeneutiche più penetranti di quelle date dalle riviste – se non che variando le immagini dai decimetri quadrati delle riviste ai metri quadrati della mostra, con la presenza di magnifiche "maquette" –.

Assumo i commenti letti su riviste e giornali – Portoghesi e Gregotti – e quelli dati in risposta all'appello di Luisa Calimani: tutti chiari, vari e precisi. Aggiungo soltanto qualche spigolatura, divagando.

Dalla collina

Suggestioni. Dal padiglione inglese prendo una lezione di classe con i saggi di riabilitazione di edifici o contesti storici: saggi di mutazione dei linguaggi che tematizzano fedeltà ai tratti profondi del testo, prendendo dal suo codice i geni che possono produrre nuovi modi di abitare entro forme plastiche innovative, conservando caratteri originari con spirito indagatore, esaltandoli: arte di un processo grammaticale che vuol aderire, provocare o accompagnare i processi dell’abitare. Un curatore, Peter Cook, che per sé, dalla sua creatività anticipatrice di tendenza e magniloquenza, sa cogliere nella piccola dimensione radici genetiche di forme dialoganti.

La Germania interroga, attraverso una narrazione fotografica in fotomontaggio a nastro continuo, il nuovo paesaggio territoriale periurbano senza misura; si interroga sull'inaspettata eterogeneità che erode la sostanza formale ed etica, e(ste)tica, del paesaggio della cultura tedesca. Sembra ripromettersi una cura educativa, dove il proposito Metamorfosi non presenta radici di sicura trasformazione positiva. Hinausgehen: ancora una volta dichiara necessario "uscire" nel paesaggio, in quello reale e in quello mentale, nella volontà di una conoscenza condivisa congiunta ad una creatività critica.

La Francia – là dirimpetto – dimostra fede nelle trasformazioni sostenibili, con un modello di sviluppo in quattro fasi, scene progettate per i prossimi cinquant'anni. Positivo e contraddittorio insieme. Sant'Elia "figurava" la città futura, disegnando frammenti con suggestioni di forma, promesse "formanti", senza tempo; sognando figurativamente forniva tratti di codice linguistico per costruire il futuro, tratti che per frammenti sono stati operanti nell'immediato. Le scene francesi fanno pensare alla necessità di un sistema relazionale complesso, a una vita, cioè a un divenire delle forme da abitare; e le disegna. Di fatto rappresenta con figure, scene formali, un possibile esito raggiunto ipotizzando il sistema – qui il tratto fatalmente contraddittorio, rispetto il proposito di relazionare la complessità. Ma tollerando le immagini come esemplificazione di un possibile, si vede il carattere positivo nel pensare una complessità relazionale nella quale il soggetto primario é un processo. Si deve intendere che vi sia sotteso il governo di tale processo, che sappia guidare la vita delle forme da abitare, nel divenire dell'abitare.

Sulla collina questi aspetti dell'Occidente sono in certo senso schematizzati dagli orientali: ironia irridente e amara del Giappone, volontà di strutturare teoria e codici positivi da parte della Corea. Se da un lato si può vedere sclerotizzato un problema della nuova costruzione dell'Europa, dall'altro è arduo trovare, nelle espressioni viste alla Biennale, rappresentazioni di rapporti globali.

Guardando dalla collina si vedono altri i schemi: l'alta professionalità dimostrata a tutto campo dalla Spagna, orgogliosamente – ma può stare così pienamente soddisfatta di sé? La problematica Olanda, giustamente tutta tesa a organizzazioni territoriali, a dominio del paesaggio per abitare e produrre in equilibrio con le condizioni di natura, fornendo molti cassetti pieni di possibili strumenti del costruire e dell'abitare.

C'é un pensiero comune della costruzione della forma Europa?

 

Eisenman

Anni addietro proponeva crisi di identità alla ratio dell'impianto tettonico trilitico, con pilastri e travi paradosso, che non toccavano il suolo e non raggiungevano l'appoggio; però cari compagni dell'abitare e del sentimento comune della tradizione; tuttavia tali da sollecitare estraneamento, una condizione critica nel progetto, ridotto a ripensare la confidenza nei cari oggetti e il confidamento riposto nell'arte tettonica.

Vale a dire che l'arte tettonica è indifferente rispetto le convenzioni formali: che una semicolonna classica non abbia un ruolo strutturale effettivo, non interessa nessuno; nell'architettura classica interessa la ragione della forma che deve rappresentare la bellezza della ratio costruttiva, anche se nei fatti materiali non sussiste - la bellezza è proprio questa separazione tra rappresentare e consistere, bellezza arcana. In alternativa l'arte tettonica va ripensata per generare altri cari oggetti in cui confidare, con ragioni e forme nelle quali "rappresentare e consistere" siano dialoganti in modo concrescente – anche senza che si postulino reciprocamente, in modo apodittico –.

Le forme di Eisenman evocano oggi (anzi già da tempo) eventi della morfogenesi tettonica. Le sue forme oggi simulano una morfogenesi tettonica, con un corpo strutturale trilitico, indifferente all'espressione delle grandi "pieghe", del folding avvolgente. Molte sono le ragioni delle "pieghe", che per le proprietà della forma potrebbero divenire essenziali corpi strutturali, potrebbero essere corpo del corpo di una verità iconica; ma restano invece indifferente rivestimento, con molte buone altre ragioni. Una metamorfosi è ancora attesa nell'arte tettonica, con un rapporto dialogico tra rappresentare e consistere della struttura. Ma che cos'è struttura in tal senso? Non è scheletro, non è muscolatura, non tendini, non sensori regolanti un comportamento ambientale; ma relazioni stringenti tra tutte queste condizioni coinvolte in eventi della forma, con metamorfosi operanti sui loro codici separati, in modo che il fatto tettonico venga a coincidere con la forma dello spazio, generando condizioni ambientali, contesti dell'abitare.

Eisenman è grande anche perché suscita interrogativi e fa vedere, volendo o non volendo, campi da esplorare, perché le risposte non sono esaurite dal suo operare.

 

Vigneti nelle sale per lo spettacolo.

La Filarmonica di Scharoun è un'invenzione geniale, fonda il tipo a "terrazza vigneto" dove le condizioni di visibilità che costruiscono lo spettacolo del pubblico, sono volute per raggiungere un giusto riverbero della sonorità; ma anche perché il movimento del pubblico nel complesso e magnifico giro di scale nel foyer è un evento. A questa invenzione va associata quella di Utzon per Sidney, che unifica nella sua grande copertura – vele di una strana nave giunta dal paese di chissàdove – due sale di spettacolo e tutto un'insieme di luoghi per varie attività. Questi due tipi guidano una serie di variazioni tematiche – anche radicali come nel progetto di Serajevo che unifica le logge del pubblico svolgendole in una spirale continua - facendo emergere il nuovo valore dello spazio intermedio già annunciato da Scharoun. Le forme racchiudenti sono la ragione d'esercizio di una forma "autre" nel contesto, sia esso centrale alla città, o un'emersione dal paesaggio. Le sale dello spettacolo costituiscono forme che si liberano dalla misura e dal linguaggio contestuale e mirano ad una ricerca di istituzionalità simbolica.

 

Massi erratici

Tali appaiono molte opere viste alla Biennale – già viste prima – formate proprio come gigantesche pietre, modellate dal tempo, indifferenti al contesto. Qual'è la novità, in che cosa consiste la metamorfosi? Penso al paesaggio della seconda metà dell'’800 ed alla comparsa delle grandi fabbriche, cattedrali del lavoro con una nuova dimensione che succedeva a quella delle grandi cattedrali delle fede: quale legame presentavano con il contesto, campagna e città, considerando che i tratti di linguaggio comune erano comunque alterati? Prendo la lezione di Franco Purini data con il modello esposto alla Biennale di qualche anno fa: volume gigantesco, referente di complessi bisogni vitali della città, rappresentati con forza simbolica nelle sue forme. I "massi erratici" di oggi sono sulla linea di quella ricerca: personaggi in cerca di forza simbolica, che la loro autoreferenzialità, in certa parte fatale, in certa parte esibizione tutt'altro che marginale, stenta a concedere, ovvero richiede una grande penetrazione del pensiero formante – come si vede nel saggio di Francalanci sulla Reinhardt haus di Eisenman, in Anfione e Zeto. La ricerca deve proseguire per dare compiutezza ad una linea di lavoro secolare.

E' questa la novità rispetto la città oltre la metropoli, rispetto un programma di riqualificazione del passaggio? La metamorfosi è attesa proprio nelle strutture-figure della città e del paesaggio, che nell'assetto civico siano forma simbolica, con un contributo di "massi erratici".

I disegni – pochi in verità – soprattutto i rendering, presentano sempre una folla di gente. Immaginando di far parte dello spettacolo, di essere osservatori dal suo interno, si può cadere nel dubbio che non sia questa la mia casa e la mia città, che il mio corpo non sia specchiato in quelle forme, che venga a trovarmi in un campo ostile: come vivere un paradosso, aver costruito un estraneo da ridurre a una appropriata dimensione, storicizzandolo con trasformazioni e usi duttili. Sembra che ciò che appartiene all’arte dell’architettura non interessi il paradosso, e che respinga l’abitare ad una misura minore, dove la duttilità è possibile, all’edilizia.

Che sia il momento di pensare questa come un’altra minore, ma forse più difficile arte, dove le macrostrutture e le nanostrutture cercano di appartenersi?

Venezia 28 novembre 2004