DIRITTI URBANI E GOVERNO DEL TERRITORIO

Politica e urbanistica a confronto

Villa Valmarana (PD), 6/2/04

DIRITTO ALLA BELLEZZA

(appunti di Roberto Gambino)

Si avverte oggi, non solo nel nostro paese, una crescente "domanda di qualità" del contesto di vita, che riflette, da un lato, le paure e le preoccupazioni per la diffusione dei rischi e dei processi di degrado e per le minacce incombenti, dall’altro le nuove attese della società contemporanea in tema di sicurezza e fungibilità del territorio, di condizioni ambientali e di valori paesistici e culturali, inclusi quelli propriamente estetici. Gran parte delle trasformazioni territoriali che hanno accompagnato lo sviluppo economico e sociale degli ultimi decenni ha avuto effetti devastanti, legittimati o "condonati", sul patrimonio naturale e culturale del nostro paese. Le popolazioni acquistano sempre più la consapevolezza che i processi di sviluppo dominanti – guidati da dinamiche economiche che si manifestano ormai a scala globale – minano alla radice la loro identità e i loro sistemi di valori. In questo quadro l’aspirazione alla bellezza, lungi dal rappresentare la deriva estetizzante di una società sazia, esprime piuttosto la speranza di un nuovo più gratificante rapporto con la terra e con la propria eredità. La risposta a questo groviglio di paure e di speranze implica il riconoscimento di alcuni diritti fondamentali, quali i seguenti.

1, il diritto alla bellezza del quadro di vita, soprattutto degli spazi pubblici e dei luoghi d’aggregazione sociale, delle strade e dei canali di fruizione del paesaggio. Si tratta di respingere l’idea che l’edificazione e la modificazione delle forme e dell’immagine dei luoghi e dei percorsi in cui si svolge la vita delle comunità costituiscano un affare privato dei proprietari e dei loro architetti e che le poste in gioco siano sempre e soltanto economiche e funzionali. Si tratta al contrario di affermare l’idea che la bellezza del paesaggio e dei luoghi pubblici costituisce un fattore di crescente importanza sociale, che assume rilievo anche per le dinamiche economiche, come dimostrano le preferenze dei mercati immobiliari, gli orientamenti dei flussi turistici o persino il successo commerciale dei prodotti esportati da aree territoriali particolarmente qualificate. Ma si tratta anche di non affidare le garanzie di bellezza alle sole politiche dei vincoli e della protezione episodica e passiva e di puntare invece sulla qualità creativa del progetto, mediante forme opportune di concorsualità, esposte al pubblico controllo. L’architettura della città e l’architettura del paesaggio devono riacquistare il senso e il valore di un "progetto civile" che tende ad esaudire i diritti di bellezza della collettività.

2, il diritto alla natura, vale dire ad un contatto agevole e gratificante con gli spazi e gli elementi naturali, sia dentro alla città (ripensando alla radice il senso e il ruolo del "verde urbano"), sia nella campagna. Occorre prendere atto che, per gli abitanti di vaste aree urbane e metropolitane, questo diritto è di fatto negato, se non nella forma aberrante dell’evasione motorizzata domenicale. Occorre superare definitivamente quella contrapposizione tra città e natura, tra logos e physis, che costituisce uno dei più ingombranti retaggi della modernità e che trova emblematica rappresentazione nella bipolarizzazione tra l’immagine del centro storico e l’immagine del parco naturale. Come i valori urbani tendono ormai a diffondersi su tutto il territorio, così i valori naturali devono permeare tutti gli spazi della vita quotidiana. Se da un lato ragioni culturali, di stabilità paesistica e di sicurezza idrogeologica, inducono a salvaguardare l’accessibilità e la presenza storica dell’uomo nella campagna e nella montagna (pur favorendo, ove possibile ed opportuno, la rinaturalizzazione delle sempre più estese terre abbandonate), dall’altro la natura deve entrare in città, potenziandone il patrimonio vegetale, i "corridoi" verdi e i "corridoi d’aria" ancora esistenti o recuperabili, rivalorizzandone i sistemi delle acque. E’ questa anche la condizione per garantire il diritto al benessere e alla salute, il diritto cioè a vivere in condizioni ambientali accettabili e non rischiose. A questo diritto le politiche urbane devono far corrispondere opzioni di fondo che devono avere la precedenza su ogni altra opzione di sviluppo. In particolare le opportunità di recupero e riuso delle aree dismesse da industrie ed impianti obsoleti, invece di fornire occasioni per lucrose operazioni immobiliari che accrescono di norma le pressioni insediative e i tassi di congestione urbana, dovrebbero essere saggiamente utilizzate per migliorare e potenziare il verde urbano, nel quadro di programmi organici di "greening" quali quelli già sperimentati in varie città europee. E parallelamente occorre contenere drasticamente la dispersione degli insediamenti e delle infrastrutture urbane attorno alle città e nello spazio rurale, anche mediante la realizzazione di cinture verdi e di reti ecologiche che penetrino nella città connettendola al suo contesto ambientale e che salvaguardino la "naturalità diffusa" della campagna.

3, il diritto all’identità, vale a dire alla conservazione e alla riconoscibilità dei valori identitari delle comunità territoriali, sia nei paesaggi della città consolidata che in quelli rurali e naturali. Questo diritto, come ha riconosciuto la Convenzione Europea del Paesaggio, siglata a Firenze nel 2000 dai 45 paesi del Consiglio d’Europa, riguarda tutto il territorio e tutte le comunità territoriali. Ciò implica che le politiche del paesaggio devono riguardare l’intero territorio: non solo i "bei paesaggi" o le "bellezze naturali", non solo i paesaggi eccezionali, ma anche quelli ordinari e quelli degradati (come gran parte delle periferie urbane e metropolitane), non solo i paesaggi "naturali" ma anche quelli diffusamente "edificati" dalle pratiche colturali o quelli propriamente urbani. Questo allargamento d’orizzonte sembra contrastare con la necessità di "salvare il salvabile", mettendo le cose ed i siti di maggior pregio al riparo dalle dissennate aggressioni che, con condoni, depenalizzazioni, svendite del patrimonio pubblico si replicano in questi giorni, in totale spregio del dettato costituzionale. Ma occorre essere consapevoli del rischio che, nella logica degli elenchi e delle liste degli intoccabili, si ritorni a premiare una concezione elitaria del patrimonio ("pochi beni per pochi fruitori") quale quella riflessa nelle due leggi del 1939, staccando i ritagli superstiti dei paesaggi del passato o i brani paesistici di indiscusso valore dal loro inseparabile contesto territoriale. L’urgenza drammatica dell’azione di difesa non deve indurre ad accettare la sciagurata spaccatura del paese tra ciò che va salvato e ciò che può essere buttato, lasciato cioè alla mercè di quei processi trasformativi che già hanno comportato la perdita di valori insostituibili. Staccare i "bei paesaggi" dal variegato mosaico paesistico che costituisce il volto vero (ancorchè largamente deturpato e manomesso) del nostro paese, significa ignorare le ragioni profonde che stanno alla base dell’attuale "domanda di paesaggio", il ruolo dei valori identitari che vi si esprimono, il radicamento territoriale delle culture locali, il rapporto costitutivo che lega la gente ai luoghi. Non si salva il paesaggio se non si salva il paese. D’altronde, allargare l’attenzione all’intero territorio è la strada obbligata per cogliere e celebrare le differenze che fanno la ricchezza del nostro paese, evitando le chiusure autistiche, regressive o nostalgiche nelle identità locali, aprendo e diversificando l’azione di tutela, rispondendo diversamente, nelle diverse situazioni, alla domanda di qualità.

4, il diritto alla cultura, a fruire, conservare ed arricchire il patrimonio culturale della collettività. E’ un diritto che si lega strettamente ai precedenti, come traspare dallo stesso dettato dell’art.9 della Costituzione. Esso impegna a vedere nel patrimonio culturale non soltanto un insieme, più o meno ricco e variato di "cose", monumenti o trésors d’art, ma una componente fondamentale del capitale sociale incorporato nel territorio, fattore decisivo della qualità del quadro di vita individuale e collettivo e delle stesse prospettive di crescita e di sviluppo, che sono e saranno sempre più in futuro basate sulla cultura. Esso fa riferimento ad una pluralità di risorse culturali, materiali e immateriali, tangibili ed intangibili, che comprendono non solo i sedimenti fisici (architettonici, urbanistici, infrastrutturali) ma anche le memorie, i riti e le tradizioni, richiamandone imperiosamente i legami col territorio. Esattamente al contrario della logica aberrante delle svendite e delle privatizzazioni, questa concezione individua nella valorizzazione del patrimonio culturale la produzione di "valore aggiunto" per il territorio, fattore strategico di crescita e competitività a scala locale, regionale e nazionale. Essa conferisce perciò un significato profondamente innovativo alla conservazione del patrimonio, arrivando a identificare nella conservazione il luogo privilegiato dell’innovazione per la società contemporanea. Questo implica: