Intervento di Paolo Ceccarelli

Se avessi preso la parola, avrei detto più o meno questo. però

Ho trovato giuste e stimolanti le osservazioni di Gianni Fabbri; sono assennate e propongono di affrontare i problemi in modo positivo, aperto al futuro.

Sono d’accordo sullo smettere di piangerci addosso e di praticare l’esercizio improduttivo e masochista di criticare più le amministrazioni e i governi di sinistra che quelli avversari, A sentire certi commenti di oggi la Roma di Veltroni non sarebbe molto diversa da quelle di Cioccetti o Rebecchini. Mi sembra un giudizio un po’ forte. E che senso ha pretendere dall’attuale giunta soluzioni che potrebbe dare solo una maggioranza compatta, di tipo "bulgaro"?

L’esercizio della critica mi è fisiologicamente connaturato, ma so anche che in politica può essere molto pericoloso, se non si appoggia a idee nuove e migliori sulle cose da fare. Idee che nascono da scelte politiche avanzate, ma anche da una corretta analisi della società, in profondo mutamento, con cui si ha a che fare. E invece ho sentito ancora una volta affiorare i vecchi vizi di una sinistra proterva che si dice intenzionata a fare cose nuove, ma che nel suo profondo è convinta d’essere la sola ad avere ragione, crede ancora nella validità di vecchie analisi, vagheggia di mondi che non ci sono più e che comunque non erano migliori dell’attuale. Ho sentito parlare di tipi di città che non esistono da decenni, di società urbane che sembrano reperti archeologici, di problemi di sviluppo urbano che nessun amministratore riterrebbe più significativi. Che si può costruire di nuovo se il mondo cui si fa riferimento sta soprattutto nel nostro immaginario, nella nostra testa?

Non sono un sostenitore del neoliberismo, ma mi offende intellettualmente sentire etichettare come neoliberiste, e pertanto perniciose, politiche ed esperienze che non lo sono affatto, che nascono da esigenze sociali ed economiche molto concrete e pressanti; sentire dietro alle critiche il rimpianto per una pianificazione che non ha mai funzionato, non potrà mai funzionare e comunque è inaccettabile nei suoi principi fondativi.

Mi irrita ascoltare gran lodi per la partecipazione, i movimenti, la spinta a modificare regole di decisione e governo e poi sentire strisciare giudizi assolutamente negativi su chi esprime, attraverso la partecipazione e i movimenti, esigenze e problematiche diverse da quelle in cui crediamo. Il processo di costruzione delle scelte in modo partecipato e condiviso non è né facile né lineare; può essere pieno di contraddizioni ed errori, ma è anche qualcosa di profondamente nuovo che rimette in discussione vecchi modi di fare politica e non è certo una cinghia di trasmissione aggiornata. Certi strumenti introdotti di recente – esemplari tra tutti quelli della programmazione complessa - possono certamente essere utilizzati in modo più virtuoso e molto diverso da quanto in molti casi si è fatto. Se servono per nuovi accordi di vertice, concordati sottobanco, o come ulteriore occasione per essere autoritari ed "espeditivi" non è però colpa loro, ma di chi li interpreta ed usa nel modo più ristretto possibile. Possono essere occasione di nuovo centralismo, ma anche modo di misurarsi davvero nella sfida dell’autogoverno.

Il piano "ancien règime" risolveva vari problemi, ma non dava risposta ad altri, in particolare non aiutava minimamente a fra crescere la società civile. Forse una meditazione in proposito – sui costi e i benefici relativi - andrebbe fatta.

Provo a suggerire alcune riflessioni che si potrebbero cominciare a fare per costruire qualcosa di nuovo e diverso. Parto da questioni che conosco perché le ho sperimentate (continuo a sperimentarle) direttamente.

  1. Una riflessione su noi stessi. La sala è piena di docenti e ricercatori universitari. L’università non ha un ruolo marginale in queste faccende e molti dei presenti sono autorevoli ed importanti nel suo sistema di potere. Siamo certi che tutti noi si stia costruendo un’ università migliore (veramente democratica, corretta, aperta ai meritevoli), si insegni nel modo giusto (quello che "servirebbe"), si faccia ricerca utile (anche quella che chiarisce le idee agli amministratori di sinistra), si propongano soluzioni alternative corrette? I risultati finora ottenuti non mi sembrano molto positivi.
  2. Ci sono anche liberi professionisti e tecnici della pubblica amministrazione; in più molti di noi docenti fanno anche la professione. Anche in questo caso una riflessione sul nostro operato sarebbe opportuna. Si è sempre fatto il meglio che si poteva? Tante volte non siamo entrati anche noi nella logica di "dare una mano" ad amministratori in gravi ambasce e difficoltà? E allora perché fare certi discorsi in una sede e discorsi opposti in un’altra? Forse è una contraddizione che vale solo per me. Non me la sono mai sentita di far saltare un’ amministrazione di sinistra; ho contribuito a negoziare, a costruire mediazioni oppure ho mollato e me ne sono andato. Resto molto perplesso su entrambe le scelte. Si può fare altrimenti? Come?

  3. I nuovi modelli di sviluppo. Ne parliamo ininterrottamente e con grande enfasi retorica, ma le scelte finali sono spesso altra cosa. Sostenibilità, tanto per fare un esempio, significa anche forte coinvolgimento di tutti, partecipazione dura, accettazione delle decisioni collettive, altrimenti è impossibile realizzarla. E’ indispensabile mettere in moto un processo del genere, anche se non se ne conoscono gli esiti, che possono essere anche molto sgradevoli. Allora siamo partecipativi solo a metà? Siamo per la sostenibilità sotto tutela? I vecchi modi di pianificare saltano di sicuro se vogliamo ottenere risultati positivi; e allora che facciamo? Forse dovremmo elaborare qualcosa di più articolato e convincente.
  4. Quando la FIAT chiude, quando le banche tagliano i posti di lavoro, quando la chimica collassa chiediamo tutti a gran voce d’essere più competitivi, di mantenere a tutti i costi i livelli occupazionali, di difendere le quote di mercato internazionale che abbiamo. Si serrano giustamente i ranghi e non ce la sentiamo di proporre ai cassaintegrati, come alternativa, ipotetiche nuove forme dell’economia, nuovi imprecisi e insicuri canali d’occupazione. Alcune città hanno cominciato da alcuni anni la lunga e perigliosa marcia verso la riconversione, l’apertura di nuovi ruoli e nuove prospettive di sviluppo.Per farlo sono dovute venire a patti, hanno dovuto diventare più competitive, hanno dovuto razionalizzare, inventare nuove cose, investire. Una città in declino non piace a nessuno e spesso solo per contrastare il declino (non per essere vincenti e rampanti) bisogna fare cose a cui non siamo abituati, come mettersi sul mercato, cercare risorse, trovare investitori…Sbagliare, riprovare, andare avanti senza grandi certezze di successo. Spesso, proprio perché non sappiamo fare queste cose, perché non le abbiamo mai praticate, esageriamo, facciamo errori, ci facciamo infinocchiare. Non dovremmo cercare di capire se la nostra ideologia si può coniugare a queste necessità senza uscirne stravolta e come questo può avvenire. Non dovremmo essere un po’ più sperimentali, più fiduciosi nei nostri principi etici di fondo, meno manichei?

  5. Ambiente Ho trovato poco o nulla di questo fondamentale problema alla base dei nostri discorsi di oggi. Ci sono state molte riflessioni sulla morfologia urbana e l’idea di un piano ben disegnato e definito; ci sono state attenzioni per il sociale e preoccupazioni per la finanza pubblica; si è pagato il solito tributo verbale all’importanza della questione ambientale, ma poi si è scivolati via in altre direzioni.Ma la questione ambientale non dovrebbe essere quella che ci costringe a capovolgere quasi tutti gli ordini di priorità che abbiamo finora usato? Non dovrebbe essere il parametro di riferimento per disegnare il nostro futuro? Il dogmatismo ambientalista può essere fastidioso; ma un conto è essere problematici e realistici, un conto è ignorare di fatto il problema, limitandosi a santificarlo. D’altra parte- per fare un esempio concreto - non è proprio attorno all’attuazione dell’Agenda 21 locale che si sono sviluppati alcuni dei più interessanti esempi di elaborazione di nuovi modi di concepire la sulla pianificazione della città e del territorio? Anche in questo caso trovo ritardi di fondo nel dibattito della sinistra, paure che scappino di mano le situazioni,che i vecchi paradigmi vengano messi da parte a favore di nuovi meno "sicuri".

Il discorso può farsi lungo e non ce n’è il tempo. Comunque oggi è stato iniziato e vale la pena di continuarlo, in modo più approfondito, identificando problemi centrali, concentrandosi su di essi, discutendone anche con altri (per esempio con sindaci e assessori). Trovo importante l’iniziativa de La rete; vorrei però che non servisse a farci credere d’avere ragione solo perché stiamo insieme nella stessa stanza. Deve servire per costruire proposte nuove e anche convincere altri della loro giustezza . Tra gli altri soprattutto i giovani che spesso non credono molto nelle cose di cui noi vecchi siamo convinti, ma perché sono più radicali e netti di noi, anche più "laici", più curiosi e aperti alla sperimentazione.