Il destino della Manifattura Tabacchi di Firenze tra memorie e abbandono

Firenze, 26 Febbraio 2012

 

 

Progetto e buone pratiche nel recupero del patrimonio industriale (abstract)

Franco Mancuso (AIPAI, Associazione Italiana per il Patrimonio Archeologico e Industriale)

 

 

1.   Questo intervento si propone di fornire un contributo al dibattito sul progetto per la valorizzazione e il recupero e della Manifattura Tabacchi di Firenze, partendo dalla considerazione che, a differenza di ieri, oggi si interviene – e quindi si progetta - prevalentemente dentro la città esistente, piuttosto che per la sua espansione: per adeguarla a nuove esigenze di modernizzazione funzionale e perché possa fare fronte all’insorgere di inedite domande sociali. È dunque una città che si trasforma quella su cui si proietta il nostro lavoro, piuttosto che una città che cresce. Una città ove parti cospicue e per lo più centralissime sono diventate improvvisamente obsolete – quelle appunto ove l’eredità industriale mostra tutti i suoi valori – e verso le quali si indirizzano sempre più rapidamente immensi interessi: interessi pubblici, quando aree e manufatti vengono considerati come risorse appropriate per rispondere a nuove domande sociali e di modernizzazione; e interessi privati, quando consentono cospicui ritorni economici per gli investimenti di carattere speculativo.

 

2.   Operatori immobiliari e progettisti sono sempre più frequentemente coinvolti in questo duplice conflittuale interesse per le aree obsolete, imbattendosi nelle testimonianze di un patrimonio assai poco conosciuto, per lo più non protetto, rispetto al quale le possibilità di intervento vanno dal recupero e dalla valorizzazione alla radicale eliminazione.

Di fronte a questa situazione, il ricorso alla “tabula rasa” - o alla sostituzione di porzioni cospicue dei manufatti esistenti, come nel caso della Manifattura - viene considerata di norma come la soluzione più conveniente: sia per gli operatori immobiliari, per la semplificazione delle procedure e per gli incrementi volumetrici che ne derivano, e sia per i progettisti, per la maggior visibilità che “il nuovo” consente rispetto al “riuso” (e per la minor fatica progettuale che esso richiede).

La prospettiva della valorizzazione è dunque tutt’altro che semplice: i fenomeni della trasformazione urbana stanno avvenendo infatti con una tale rapidità, da non consentire sedimentazioni professionali e culturali che possano far facilmente maturare una “cultura della valorizzazione”, capace di interfacciarsi positivamente con le esigenze del recupero e della rifunzionalizzazione delle aree e dei manufatti obsoleti.

 

3.   I risultati positivi di una tale cultura cominciano tuttavia a emergere, se si guarda agli interventi che hanno mostrato una miglior compenetrazione fra esigenze di trasformazione e obiettivi di valorizzazione, e che si basano sulla convinzione che i vecchi manufatti industriali possano efficacemente ospitare una pluralità di funzioni. E’ ciò che questo intervento si propone di fare, cercando di mettere a frutto l’esperienza di anni di osservazione critica nel campo del recupero del patrimonio industriale maturata in seno all’AIPAI, proponendo alla discussione una sorta di repertorio di “buone pratiche” per concepire un progetto urbanistico e architettonico attento ai valori che la cultura riconosce all’eredità industriale presente nelle trame delle nostre città (considerare l’interezza e la complessità della fabbrica, così come la storia ce la consegna; incentivare il dialogo con i tessuti urbani circostanti; garantire la riconoscibilità degli spazi interni; adottare modalità di intervento differenziate, dal restauro filologico all’integrazione consapevole con i linguaggi del moderno; salvaguardare e valorizzare gli spazi scoperti e le presenze naturalistiche; prendere in considerazione i “prolungamenti” di aree e manufatti; conservare e valorizzare macchine e apparati tecnologici; mettere in luce gli elementi simbolici e salvaguardare le memorie del lavoro e dei luoghi; interpretare il valore strategico dei percorsi e degli accessi; rivalutare e reinserire nei loro contesti urbanistici le reti infrastrutturali dimesse).

 

4.             Tutto ciò richiede competenza, intelligenza, sensibilità, apertura mentale e intellettuale, disponibilità a sperimentare, entusiasmo e grande capacità di immaginazione. Lo dimostrano gli interventi che abbiamo visto, realizzati con la consapevolezza che il risultato finale di un’operazione di riqualificazione di un’area dismessa è tanto migliore, quanto più incorpora i segni della storia sociale, oltre che fisica, delle fabbriche e dei siti abbandonati; con la convinzione che la memoria sopravvive agli eventi della dismissione, e che incorporarne nel progetto le tracce è un momento importante di ogni buon percorso progettuale.

Esercitare ogni sforzo per non nasconderne la storia, quando si lavora su un luogo dimesso, e ricercarne le tracce nelle comunità e nei protagonisti di un tempo,  quando ciò è ancora possibile, consente a ogni intervento di radicarsi prima e meglio nella città. Nulla di più e nulla di meno di quanto da sempre è avvenuto nelle città, che non a caso riconosciamo tanto più belle e ricche di stimoli e suggestioni quando testimoniano le stratificazioni storiche e i segni del passaggio delle generazioni. Come è per Firenze. E come può essere per la Manifattura, che è già di fatto un pezzo vero di città.