(Luisa De Biasio Calimani)
·
perché siamo consapevoli che c’è un legame stretto tra politica e
urbanistica
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perché abbiamo sentito marginali, anche nella politica di sinistra e
centro sinistra, i temi dell’architettura, della città, della casa
·
perché si è perso il senso dell’interesse pubblico nel governo delle
città
·
perché sentiamo l’esigenza di dire qualcosa di sinistra anche nei temi
che riguardano il nostro ambito disciplinare
Città
solidale, città democratica, città di tutti;
Città Amica è
il nome che provocatoriamente abbiamo scelto per la Rete, perché oggi non è
così.
Non è così perché la città non offre pari
opportunità, perché un cittadino che cerca casa la trova in funzione del colore
della pelle, perché la città è costruita per una tipologia di utenti e preclusa
ad altri.
Le trasformazioni del tessuto urbano hanno spesso
contribuito ad acuire scompensi sociali, hanno provocato la deportazione di
residenti (lasciando senza presidio i centri storici) e suddiviso la città per
classi di reddito.
La rendita urbana ha favorito processi di privatizzazione della città che sembra
sempre più la sede di sportelli bancari che luogo di aggregazione.
Questo appare ineluttabile, come lo smog, la
congestione del traffico, i tempi di vita perduti, l’assenza di qualità
dell’architettura perché ogni metro cubo deve assicurare il massimo profitto.
La città
trattata come una merce ha trascurato gli interessi dell’utente, cittadino di
tutte le età, sesso, etnie.
Si è via via consolidato un modello di città
selettiva, introversa, che cerca di armarsi per difendersi dallo straniero.
Le modifiche di destinazioni d’uso, non sempre volte
al bene comune, sono state spesso guidate da ragioni che poco hanno a che fare
con la disciplina urbanistica.
Sono fatti che non appartengono solo al passato, ma
è un po’ fuori moda parlarne, perché considerati moralismi da prima Repubblica
e non questioni morali che, se
calpestate, inquinano il territorio oltre che il libero mercato (le vicende
legate alla costruzione della Salerno-Reggio Calabria dimostrano purtroppo la
loro attualità).
Ma noi della
sinistra, abbiamo lasciato cadere anche questa sfida di libertà e legalità che
Enrico Berlinguer, prima dei giudici di Mani Pulite, aveva lanciato,
dimostrando che la politica può assumersi, senza delegare alla Magistratura, le
funzioni che le competono.
Lo squallore e il disordine urbano molto debbono a
pratiche che, come sappiamo, rappresentano il modo privilegiato per riciclare
denaro dall’incerta provenienza, ma il Ministro Lunardi, afferma che “con la
mafia bisogna convivere”.
Sono parole che non ci rassicurano, come non ci
tranquillizza l’emendamento sul condono
edilizio ritirato solo in virtù dell’onda emotiva generata dal crollo della
scuola di San Giuliano dovuto alla sopraelevazione dell’edificio. Proprio i
“sopralzi”, così chiamati nell’emendamento del centro-destra, erano compresi
fra le categorie di opere condonabili senza accertamenti di carattere statico,
purché venisse pagata l’oblazione. .
Abbiamo
voluto, con una comunicazione specifica su questo tema, sottolinearne l’importanza.
Esprimere una valutazione tecnico politica su quanto
accaduto in Molise è cosa che ci spetta, un dovere civico per dei tecnici
politicamente orientati.. Ma un diverso modo di intendere la città e il
territorio non deve appartenere solo a pochi intellettuali di sinistra.
L’esigenza di prevenzione
e sicurezza del territorio
debbono diventare cultura diffusa e il condono edilizio va considerato come un
pericoloso invito all’abuso e alla legittimazione di azioni responsabili degli
esiti nefasti di catastrofi naturali non del tutto inevitabili.
Siamo fieri che proprio durante i cinque anni del
Governo di centro sinistra la pratica del condono edilizio sia stata sospesa.
Sembra ovvio, ma vorrei che molte di queste ovvietà
fossero state praticate, perché anche su questi temi passano le diverse linee di demarcazione tra destra e sinistra che devono essere più chiare e caratterizzate.
Perché l’intreccio fra la politica e il Governo del
territorio è forte, perché la città e il territorio sono la rappresentazione
fisica di ogni aspetto della vita dell’uomo, quello economico, sociale,
relazionale, ludico, lavorativo, persino quello legato alla sua sfera
individuale e rappresentano il livello tecnologico, culturale, istituzionale.
La civiltà dei popoli si è sempre espressa
attraverso le forme della città; non
è vero che la modernità ha tradito o distrutto questo assioma, vi è piuttosto l’incapacità delle moderne democrazie
occidentali di rappresentare se
stesse, di esprimere la complessità che oggi più che mai rende
inafferrabile un modello di società che si frantuma in mille incertezze e non
ha tensioni ideali su cui poggiare e fondarsi.
O forse la città contemporanea è proprio questo, la
rappresentazione di una democrazia incompiuta. con i suoi limiti di civiltà e
di cultura, incapace di assumere e utilizzare le grandi innovazioni
tecnologiche del nostro tempo.
Da
un lato il centro-destra rivolge la sua attenzione all’immediato presente per
utilizzare in fretta tutti i benefici che il potere politico può dare,
dall’altro la sinistra non progetta un futuro che darebbe alle giovani
generazioni e non solo, la voglia di impegnarsi e di sperare.
Ma se non è la sinistra che ha la capacità di
confrontarsi su progetti costruiti per un arco temporale di ampio respiro, che
vada oltre il mandato di legislatura, chi lo può fare?
La città risente di questa visione asfittica, manca
una cultura politica illuminata che
abbia il coraggio dell’utopia,
mancano le idee forti per un disegno di
città e di società che possa condizionare positivamente modelli relazionali e indirizzare il disegno di spazi , forme,
funzioni, investimenti privati e pubblici, comportamenti individuali e
istituzionali.
Riteniamo che la vicenda urbana e territoriale possa
essere il centro di un rinnovato impegno di partecipazione, il luogo dove dare risposta alle nuove domande di
qualità urbana e ambientale, di difesa e miglioramento dello stato sociale, di
esercizio del controllo collettivo dei governati sui governanti e può
costituire un contributo rilevante nel rinnovare la nostra democrazia
La sinistra, dimentica delle sue migliori tradizioni
che hanno prodotto negli anni ‘60 e ’70, con la spinta dei sindacati, degli
intellettuali, degli studenti, le grandi, vere riforme di cui ancora godiamo
(regime dei suoli, edilizia pubblica, standard..) ha abbandonato da tempo
l’ambizione e l’impegno di essere un punto di riferimento per un processo di
riforma sollecitata dalla stessa modifica al Titolo V della Costituzione.
Anche l’occasione di una Legge nazionale sul Governo
del Territorio è stata perduta, nonostante avessimo la presidenza delle
Commissioni di Camera e Senato e un consenso generalizzato che andava
dall’ANCI all’ANCE.
Era l’occasione per consegnare al Paese, attraverso
una Legge quadro, regole e strumenti validi in tutto il territorio nazionale
per applicare il principio della sussidiarietà, della cooperazione fra Enti,
della copianificazione, della partecipazione del privato in un quadro di regole
certe e trasparenti capaci di ricondurre i singoli interventi e strumenti di
gestione (STU, project financing, programmi integrati, programmi di
riabilitazione urbana..) all’interno di un quadro organico di riferimento.
Vanno nella direzione opposta le teorie neoliberiste
affascinate dalla semplificazione prodotta dall’assenza di regole (presente
negli indirizzi indicati dal centro- destra per la nuova Legge Urbanistica
proposta per questa legislatura) che dovrebbero secondo alcuni (non solo di
destra), portare ad una sana autoregolamentazione che, applicata al
territorio, equivale all’abdicazione del
Governo della Cosa Pubblica.
Noi opponiamo a queste teorie, la necessità di ridisegnare la città attraverso gli spazi
pubblici e di usare la
pianificazione come strumento per guidare le trasformazioni urbane e
territoriali verso un prevalente interesse pubblico, secondo un principio di trasparenza delle azioni e delle
ragioni, che rendano edotti e partecipi i cittadini.
E’ un metodo di costruzione della città, che alcune
Amministrazioni di centro sinistra stanno sperimentando, consapevoli che il
controllo dei cittadini rappresenta il modo più efficace per assicurare la
salvaguardia e la valorizzazione del territorio.
La lotta per
l’appropriazione e il controllo del territorio ha un’origine antica, ha
segnato le guerre di conquista (come quella che temiamo si abbatterà
sull’Irak), è la lotta quotidiana che si consuma anche nelle città in difesa
degli spazi che rappresentano per molti cittadini l’ultima possibilità di
riqualificazione di un tessuto urbano ormai saturo e, per pochi, notevole fonte
di lucro.
Lanciamo l’appello per una città di tutti e per
tutti, per la difesa degli spazi liberi
da destinare ad usi collettivi, per la rivendicazione di diritti (questione
che rimane al centro dello scontro politico): diritto al lavoro, alla salute,
all’istruzione, all’informazione, alla giustizia, ma anche diritto alla casa, all’ambiente, alla sicurezza idrogeologica, alla
città dove periferia urbana e periferia sociale spesso coincidono, diritto alla conservazione del patrimonio artistico, storico e culturale del quale i nuovi
iconoclasti (Berlusconi e Tremonti) vogliono defraudare il Paese, sottraendolo
al controllo pubblico attraverso l’affidamento alla Spa Patrimonio che ha solo
fini di lucro.
Se questo strumento dovesse produrre (com’è nelle
sue intenzioni) molestie e aggressioni ad un monumento, proponiamo un girotondo intorno ad esso e un girotondo in ogni città attorno
ad un monumento significativo o iscritto nell’elenco del Decreto che lo rende
automaticamente alienabile.
E’ necessario opporsi alle scelte di questo Governo
con adeguati strumenti culturali e disporre di elaborazioni, idee, proposte,
alternative negli obiettivi e nelle forme per perseguirli.
Entrare nel merito delle cose è un modo di fare
politica che la gente capisce, che aiuta a coagulare i partiti su piattaforme programmatiche, che
costituiscano il legante di una coalizione di centro sinistra che vorremmo
forte, unitaria e propositiva.
Noi desideriamo fare politica mettendo a
disposizione della gente, dei comitati, delle associazioni, dei partiti, degli
Amministratori, la nostra competenza.
La maggior
parte degli aderenti alla Rete non è iscritta a nessun partito, non perché
priva di idee politiche, ma perché vorrebbe una sinistra di sinistra e più
politica fatta da partiti “in ascolto” come un diapason per entrare in sintonia
con tutti coloro che credono ancora che un modello di società alternativo a
quello del centro-destra sia possibile in Italia, anzi indispensabile.
Sembra che alcuni stiano guardando la sfera
armillare come si trattasse della rappresentazione vera dell’Universo; anche
nell’universo politico, come in quello copernicano, i partiti, come la terra,
hanno perso quella centralità che pensavano di avere. Ma la difficoltà dei
partiti ad accettare e ammettere la condizione di un loro limite, rende
faticosa l’apertura alla società civile anche quando questa offre il suo
pensiero e la propria collaborazione, perché temono di perdere anche una
piccola parte di potere e autonomia decisionale.
Eppure è stato giustamente affermato che partiti e
Parlamento, senza il supporto di una forte mobilitazione esterna, non possono
vincere le difficili battaglie che si presentano sempre più aspre e
inquietanti.
Questo risveglio non è forse una grande ricchezza e
il segno della presenza di anticorpi che si sviluppano in difesa della salute della democrazia contro il disarmo della ragione?
Distanza e incomunicabilità fra partiti e società
non fanno bene alla democrazia.
Ma l’apertura
alle associazioni, ai movimenti, alla società civile da parte dei partiti non è
cosa facile ne scontata. E’ tanto scomoda che alcuni non fingono neppure di
auspicarla. Perché significa confronto dialettico, rispetto dell’altrui
pensiero, dell’autonomia che anche noi rivendichiamo pur sentendoci parte di un
progetto politico di cambiamento.
L’Associazione
Aprile ha una funzione strategica per
ricomporre questa separatezza fra partiti e società e fra i partiti della
coalizione di centro sinistra, coalizione che vorremmo ad ampio spettro e non
così belligerante per rispondere a quella forte domanda di Unità che viene dal
“basso”.
Il Governo di centro-destra ha fallito su tutto:
debito, ripresa economica, credibilità internazionale, ma non ha fallito sul
progetto di fare della politica un affare personale e di restringere gli spazi
della democrazia.
Parte della società civile si è allarmata.
Direi che i “movimenti” sono nati dalla paura, paura
del futuro che Berlusconi potrebbe realizzare se si lasciasse arrivare al
traguardo.
Gli spazi per
un ritorno sarebbero difficili.
La società civile si chiede se i dirigenti politici
della sinistra, riescano, sappiano, vogliano opporsi con determinazione,
all’obiettivo di riduzione degli spazi
democratici che Berlusconi persegue.
Con la preoccupazione che questo processo possa
diventare irreversibile, ognuno separatamente, unito agli altri da un univoco
sospetto, si è adoperato nel proprio campo con le proprie capacità, convinzioni
e ideali.
Abbiamo scoperto allora che questi ideali esistono
ancora, sono forti, erano solo assopiti.
E abbiamo scoperto una cosa bellissima, che esistono
anche tra i giovani e che i giovani hanno cose da dirci e da insegnarci.
La “primavera dei movimenti” come l’ha titolata
Micromega è carica di energie che non intendono sfiorire fin quando non vi sarà
un frutto da cogliere. Questo frutto è il rafforzamento
della democrazia.
La vittoria del centro sinistra che fortemente
vogliamo, non è fine a se stessa, ma contiene l’obiettivo di un’evoluzione
democratica della società, di un’estensione dei diritti, di una maggiore equità
sociale, di crescita della responsabilità, della voglia di partecipare per
contare di più.
La disaffezione alla politica ha origine dalla
consapevolezza dell’inconsistente peso del proprio pensiero rispetto alle
scelte che si compiranno.
Gli intellettuali sono sempre stati organici alla sinistra,
paradossalmente alla sinistra non interessano più gli intellettuali, ma agli
intellettuali interessa ancora la sinistra.
Vi ringraziamo quindi di essere qui con noi e di
aver organizzato questo incontro. Aprile non è “cosa” separabile dalle 1000
persone che quel giorno all’Eliseo hanno sentito rinascere l’impegno civile del
fare politica, né da Giovanni Berlinguer che ci da quelle garanzie che noi
cerchiamo, per fare di Aprile un grande contenitore che sappia accettare le
diversità di pensiero e nel quale si possa fare politica con gioia anche in un
momento così difficile, in un modo diverso, trasparente, democratico, chiaro
negli obiettivi.
E’ un disegno ambizioso, ma l’assenza di un progetto politico degno di questo nome grava
pesantemente.
Dopo la caduta del muro di Berlino, né la sinistra
nel suo insieme, né parti di essa hanno saputo elaborarlo.
L’Ulivo ha, per una breve stagione, sostituito
questo vuoto. Oggi non si intravedono segnali di convinta unità che liberino
tutte le energie nella costruzione di un progetto e di un programma, ma la
saldatura fra intellettuali e operai, giovani e pensionati, la forza e
determinazione della C.G.I.L. pongono le basi per una ripresa.
Il MANIFESTO che oggi presentiamo, arricchito dai
contributi che verranno, ha un’impostazione volutamente politica, perché ci
sentiamo parte della comunità del mondo e delle vicende che lo sconvolgono, non
sempre ineluttabili e perché la RETE tenta una sintesi fra politica e
disciplina che è parte del nostro quotidiano operare.
Dal dibattito potranno emergere proposte di lavoro e
nuovi impegni.
Propongo per ora tre iniziative da fare al Nord, al
Sud, al Centro; gli argomenti saranno definiti nelle riunioni che le
precederanno.
Dichiariamo comunque fin d’ora la disponibilità ad
offrire il nostro impegno, sotto forma di “volontariato intellettuale”, per
l’opera di ricostruzione del Molise.