RETE   CITTA’ AMICA

Roma  2 dicembre 2002  -  Convegno ex hotel Bologna

(Luisa De Biasio Calimani)

 

Abbiamo costituito una Rete di architetti-urbanisti politicamente orientati

·        perché siamo consapevoli che c’è un legame stretto tra politica e urbanistica

·        perché abbiamo sentito marginali, anche nella politica di sinistra e centro sinistra, i temi dell’architettura, della città, della casa

·        perché si è perso il senso dell’interesse pubblico nel governo delle città

·        perché sentiamo l’esigenza di dire qualcosa di sinistra anche nei temi che riguardano il nostro ambito disciplinare

 

 Città solidale, città democratica, città di tutti;

 Città Amica è il nome che provocatoriamente abbiamo scelto per la Rete, perché oggi non è così.

Non è così perché la città non offre pari opportunità, perché un cittadino che cerca casa la trova in funzione del colore della pelle, perché la città è costruita per una tipologia di utenti e preclusa ad altri.

Le trasformazioni del tessuto urbano hanno spesso contribuito ad acuire scompensi sociali, hanno provocato la deportazione di residenti (lasciando senza presidio i centri storici) e suddiviso la città per classi di reddito.

La rendita urbana ha favorito processi di privatizzazione della città che sembra sempre più la sede di sportelli bancari che luogo di aggregazione.

Questo appare ineluttabile, come lo smog, la congestione del traffico, i tempi di vita perduti, l’assenza di qualità dell’architettura perché ogni metro cubo deve assicurare il massimo profitto.

 La città trattata come una merce ha trascurato gli interessi dell’utente, cittadino di tutte le età, sesso, etnie.

Si è via via consolidato un modello di città selettiva, introversa, che cerca di armarsi per difendersi dallo straniero.

Le modifiche di destinazioni d’uso, non sempre volte al bene comune, sono state spesso guidate da ragioni che poco hanno a che fare con la disciplina urbanistica.

Sono fatti che non appartengono solo al passato, ma è un po’ fuori moda parlarne, perché considerati moralismi da prima Repubblica e non questioni morali che, se calpestate, inquinano il territorio oltre che il libero mercato (le vicende legate alla costruzione della Salerno-Reggio Calabria dimostrano purtroppo la loro attualità).

 Ma noi della sinistra, abbiamo lasciato cadere anche questa sfida di libertà e legalità che Enrico Berlinguer, prima dei giudici di Mani Pulite, aveva lanciato, dimostrando che la politica può assumersi, senza delegare alla Magistratura, le funzioni che le competono.

Lo squallore e il disordine urbano molto debbono a pratiche che, come sappiamo, rappresentano il modo privilegiato per riciclare denaro dall’incerta provenienza, ma il Ministro Lunardi, afferma che “con la mafia bisogna convivere”.

Sono parole che non ci rassicurano, come non ci tranquillizza l’emendamento sul condono edilizio ritirato solo in virtù dell’onda emotiva generata dal crollo della scuola di San Giuliano dovuto alla sopraelevazione dell’edificio. Proprio i “sopralzi”, così chiamati nell’emendamento del centro-destra, erano compresi fra le categorie di opere condonabili senza accertamenti di carattere statico, purché venisse pagata l’oblazione. .

Abbiamo voluto, con una comunicazione specifica su questo tema,  sottolinearne l’importanza.

Esprimere una valutazione tecnico politica su quanto accaduto in Molise è cosa che ci spetta, un dovere civico per dei tecnici politicamente orientati.. Ma un diverso modo di intendere la città e il territorio non deve appartenere solo a pochi intellettuali di sinistra.

L’esigenza di prevenzione e sicurezza del territorio debbono diventare cultura diffusa e il condono edilizio va considerato come un pericoloso invito all’abuso e alla legittimazione di azioni responsabili degli esiti nefasti di catastrofi naturali non del tutto inevitabili.

Siamo fieri che proprio durante i cinque anni del Governo di centro sinistra la pratica del condono edilizio sia stata sospesa.

Sembra ovvio, ma vorrei che molte di queste ovvietà fossero state praticate, perché anche su questi temi passano le diverse linee di demarcazione tra destra e sinistra che devono essere più chiare e caratterizzate.

Perché l’intreccio fra la politica e il Governo del territorio è forte, perché la città e il territorio sono la rappresentazione fisica di ogni aspetto della vita dell’uomo, quello economico, sociale, relazionale, ludico, lavorativo, persino quello legato alla sua sfera individuale e rappresentano il livello tecnologico, culturale, istituzionale.

La civiltà dei popoli si è sempre espressa attraverso le forme della città; non è vero che la modernità ha tradito o distrutto questo assioma, vi è piuttosto l’incapacità delle moderne democrazie occidentali di rappresentare se stesse, di esprimere la complessità che oggi più che mai rende inafferrabile un modello di società che si frantuma in mille incertezze e non ha tensioni ideali su cui poggiare e fondarsi.

O forse la città contemporanea è proprio questo, la rappresentazione di una democrazia incompiuta. con i suoi limiti di civiltà e di cultura, incapace di assumere e utilizzare le grandi innovazioni tecnologiche del nostro tempo.

 

Da un lato il centro-destra rivolge la sua attenzione all’immediato presente per utilizzare in fretta tutti i benefici che il potere politico può dare, dall’altro la sinistra non progetta un futuro che darebbe alle giovani generazioni e non solo, la voglia di impegnarsi e di sperare.

Ma se non è la sinistra che ha la capacità di confrontarsi su progetti costruiti per un arco temporale di ampio respiro, che vada oltre il mandato di legislatura, chi lo può fare?

La città risente di questa visione asfittica, manca una cultura politica   illuminata che abbia il coraggio dell’utopia, mancano le idee forti per un disegno di città e di società che possa condizionare positivamente  modelli relazionali e  indirizzare il disegno di spazi , forme, funzioni, investimenti privati e pubblici, comportamenti individuali e istituzionali. 

Riteniamo che la vicenda urbana e territoriale possa essere il centro di un rinnovato impegno di partecipazione, il luogo dove dare risposta alle nuove domande di qualità urbana e ambientale, di difesa e miglioramento dello stato sociale, di esercizio del controllo collettivo dei governati sui governanti e può costituire un contributo rilevante nel rinnovare la nostra democrazia   

 

La sinistra, dimentica delle sue migliori tradizioni che hanno prodotto negli anni ‘60 e ’70, con la spinta dei sindacati, degli intellettuali, degli studenti, le grandi, vere riforme di cui ancora godiamo (regime dei suoli, edilizia pubblica, standard..) ha abbandonato da tempo l’ambizione e l’impegno di essere un punto di riferimento per un processo di riforma sollecitata dalla stessa modifica al Titolo V della Costituzione.

Anche l’occasione di una Legge nazionale sul Governo del Territorio è stata perduta, nonostante avessimo la presidenza delle Commissioni di Camera e Senato e un consenso generalizzato che andava dall’ANCI  all’ANCE.

Era l’occasione per consegnare al Paese, attraverso una Legge quadro, regole e strumenti validi in tutto il territorio nazionale per applicare il principio della sussidiarietà, della cooperazione fra Enti, della copianificazione, della partecipazione del privato in un quadro di regole certe e trasparenti capaci di ricondurre i singoli interventi e strumenti di gestione (STU, project financing, programmi integrati, programmi di riabilitazione urbana..) all’interno di un quadro organico di riferimento.

Vanno nella direzione opposta le teorie neoliberiste affascinate dalla semplificazione prodotta dall’assenza di regole (presente negli indirizzi indicati dal centro- destra per la nuova Legge Urbanistica proposta per questa legislatura) che dovrebbero secondo alcuni (non solo di destra), portare ad una sana autoregolamentazione che, applicata al territorio,  equivale all’abdicazione del Governo della Cosa Pubblica.

Noi opponiamo a queste teorie, la necessità di ridisegnare la città attraverso gli spazi pubblici e di usare la pianificazione come strumento per guidare le trasformazioni urbane e territoriali verso un prevalente interesse pubblico, secondo un principio di trasparenza delle azioni e delle ragioni, che rendano edotti e partecipi i cittadini.

E’ un metodo di costruzione della città, che alcune Amministrazioni di centro sinistra stanno sperimentando, consapevoli che il controllo dei cittadini rappresenta il modo più efficace per assicurare la salvaguardia e la valorizzazione del territorio.

La lotta per l’appropriazione e il controllo del territorio ha un’origine antica, ha segnato le guerre di conquista (come quella che temiamo si abbatterà sull’Irak), è la lotta quotidiana che si consuma anche nelle città in difesa degli spazi che rappresentano per molti cittadini l’ultima possibilità di riqualificazione di un tessuto urbano ormai saturo e, per pochi, notevole fonte di lucro.

Lanciamo l’appello per una città di tutti e per tutti, per la difesa degli spazi liberi da destinare ad usi collettivi, per la rivendicazione di diritti (questione che rimane al centro dello scontro politico): diritto al lavoro, alla salute, all’istruzione, all’informazione, alla giustizia, ma anche diritto alla casa, all’ambiente, alla sicurezza idrogeologica, alla città dove periferia urbana e periferia sociale spesso coincidono, diritto alla conservazione del patrimonio artistico, storico e culturale del quale i nuovi iconoclasti (Berlusconi e Tremonti) vogliono defraudare il Paese, sottraendolo al controllo pubblico attraverso l’affidamento alla Spa Patrimonio che ha solo fini di lucro.

Se questo strumento dovesse produrre (com’è nelle sue intenzioni) molestie e aggressioni ad un monumento, proponiamo un girotondo intorno ad esso e un girotondo in ogni città attorno ad un monumento significativo o iscritto nell’elenco del Decreto che lo rende automaticamente alienabile.

 

E’ necessario opporsi alle scelte di questo Governo con adeguati strumenti culturali e disporre di elaborazioni, idee, proposte, alternative negli obiettivi e nelle forme per perseguirli.

Entrare nel merito delle cose è un modo di fare politica che la gente capisce, che aiuta a coagulare i partiti su piattaforme programmatiche, che costituiscano il legante di una coalizione di centro sinistra che vorremmo forte, unitaria e propositiva.

Noi desideriamo fare politica mettendo a disposizione della gente, dei comitati, delle associazioni, dei partiti, degli Amministratori, la nostra competenza.

 La maggior parte degli aderenti alla Rete non è iscritta a nessun partito, non perché priva di idee politiche, ma perché vorrebbe una sinistra di sinistra e più politica fatta da partiti “in ascolto” come un diapason per entrare in sintonia con tutti coloro che credono ancora che un modello di società alternativo a quello del centro-destra sia possibile in Italia, anzi indispensabile.

Sembra che alcuni stiano guardando la sfera armillare come si trattasse della rappresentazione vera dell’Universo; anche nell’universo politico, come in quello copernicano, i partiti, come la terra, hanno perso quella centralità che pensavano di avere. Ma la difficoltà dei partiti ad accettare e ammettere la condizione di un loro limite, rende faticosa l’apertura alla società civile anche quando questa offre il suo pensiero e la propria collaborazione, perché temono di perdere anche una piccola parte di potere e autonomia decisionale.

Eppure è stato giustamente affermato che partiti e Parlamento, senza il supporto di una forte mobilitazione esterna, non possono vincere le difficili battaglie che si presentano sempre più aspre e inquietanti.

Questo risveglio non è forse una grande ricchezza e il segno della presenza di anticorpi che si sviluppano in difesa della salute della democrazia contro il disarmo della ragione?

Distanza e incomunicabilità fra partiti e società non fanno bene alla democrazia.

 Ma l’apertura alle associazioni, ai movimenti, alla società civile da parte dei partiti non è cosa facile ne scontata. E’ tanto scomoda che alcuni non fingono neppure di auspicarla. Perché significa confronto dialettico, rispetto dell’altrui pensiero, dell’autonomia che anche noi rivendichiamo pur sentendoci parte di un progetto politico di cambiamento.

L’Associazione Aprile ha una funzione strategica per ricomporre questa separatezza fra partiti e società e fra i partiti della coalizione di centro sinistra, coalizione che vorremmo ad ampio spettro e non così belligerante per rispondere a quella forte domanda di Unità che viene dal “basso”.

Il Governo di centro-destra ha fallito su tutto: debito, ripresa economica, credibilità internazionale, ma non ha fallito sul progetto di fare della politica un affare personale e di restringere gli spazi della democrazia.

Parte della società civile si è allarmata.

Direi che i “movimenti” sono nati dalla paura, paura del futuro che Berlusconi potrebbe realizzare se si lasciasse arrivare al traguardo.

 Gli spazi per un ritorno sarebbero difficili.

La società civile si chiede se i dirigenti politici della sinistra, riescano, sappiano, vogliano opporsi con determinazione, all’obiettivo di riduzione degli spazi democratici che Berlusconi persegue.

Con la preoccupazione che questo processo possa diventare irreversibile, ognuno separatamente, unito agli altri da un univoco sospetto, si è adoperato nel proprio campo con le proprie capacità, convinzioni e ideali.

Abbiamo scoperto allora che questi ideali esistono ancora, sono forti, erano solo assopiti.

E abbiamo scoperto una cosa bellissima, che esistono anche tra i giovani e che i giovani hanno cose da dirci e da insegnarci.

La “primavera dei movimenti” come l’ha titolata Micromega è carica di energie che non intendono sfiorire fin quando non vi sarà un frutto da cogliere. Questo frutto è il rafforzamento della democrazia.

La vittoria del centro sinistra che fortemente vogliamo, non è fine a se stessa, ma contiene l’obiettivo di un’evoluzione democratica della società, di un’estensione dei diritti, di una maggiore equità sociale, di crescita della responsabilità, della voglia di partecipare per contare di più.

La disaffezione alla politica ha origine dalla consapevolezza dell’inconsistente peso del proprio pensiero rispetto alle scelte che si compiranno.

 

Gli intellettuali sono sempre stati organici alla sinistra, paradossalmente alla sinistra non interessano più gli intellettuali, ma agli intellettuali interessa ancora la sinistra.

Vi ringraziamo quindi di essere qui con noi e di aver organizzato questo incontro. Aprile non è “cosa” separabile dalle 1000 persone che quel giorno all’Eliseo hanno sentito rinascere l’impegno civile del fare politica, né da Giovanni Berlinguer che ci da quelle garanzie che noi cerchiamo, per fare di Aprile un grande contenitore che sappia accettare le diversità di pensiero e nel quale si possa fare politica con gioia anche in un momento così difficile, in un modo diverso, trasparente, democratico, chiaro negli obiettivi.

E’ un disegno ambizioso, ma l’assenza di un progetto politico degno di questo nome grava pesantemente.

Dopo la caduta del muro di Berlino, né la sinistra nel suo insieme, né parti di essa hanno saputo elaborarlo.

L’Ulivo ha, per una breve stagione, sostituito questo vuoto. Oggi non si intravedono segnali di convinta unità che liberino tutte le energie nella costruzione di un progetto e di un programma, ma la saldatura fra intellettuali e operai, giovani e pensionati, la forza e determinazione della C.G.I.L. pongono le basi per una ripresa.

 

Il MANIFESTO che oggi presentiamo, arricchito dai contributi che verranno, ha un’impostazione volutamente politica, perché ci sentiamo parte della comunità del mondo e delle vicende che lo sconvolgono, non sempre ineluttabili e perché la RETE tenta una sintesi fra politica e disciplina che è parte del nostro quotidiano operare.

Dal dibattito potranno emergere proposte di lavoro e nuovi impegni.

Propongo per ora tre iniziative da fare al Nord, al Sud, al Centro; gli argomenti saranno definiti nelle riunioni che le precederanno.

Dichiariamo comunque fin d’ora la disponibilità ad offrire il nostro impegno, sotto forma di “volontariato intellettuale”, per l’opera di ricostruzione del Molise.