Villa Valmarana- Noventa Padovana-6 febbraio 2004

DIRITTI URBANI E GOVERNO DEL TERRITORIO

POLITICA E URBANISTICA A CONFRONTO

(Luisa De Biasio Calimani)

"Ci sono, nell’aria che respiriamo, i cosidetti gas inerti. ..Sono, appunto, talmente inerti, talmente paghi della loro condizione, che non interferiscono in alcuna reazione chimica, non si combinano con alcun altro elemento…Solo nel 1962 un chimico di buona volontà, dopo lunghi ed ingegnosi sforzi, è riuscito a costringere lo xenon a combinarsi fugacemente con l’avidissimo, vivacissimo fluoro." "L’impresa," dice ancora Primo Levi ne Il sistema periodico, "è parsa straordinaria."

Anche qui, oggi, noi vorremmo provare a costruire insieme un’operazione analoga nel campo della politica e dell’urbanistica che, come i gas nobili, si sentono autosufficienti e non cercano punti d’incontro, anzi custodiscono il privilegio della loro separatezza per non rendere conto del loro operato o meglio, dei suoi effetti, evidenti nella scarsa qualità urbana che in modi diversi, colpisce centri storici e periferie, metropoli e villaggi.

Questo non è un convegno tradizionale sui temi del territorio che già l’INU e le nostre Università trattano in modo egregio, con un taglio per così dire "apolitico" (sempre che ciò sia possibile nella disciplina urbanistica), ma ha l’obbiettivo di chiarire le ragioni, e per quanto possibile individuare i rimedi, dell’incomunicabilità fra politica e urbanistica, entrambe rassicurate dal rimanere chiuse nella presunzione del proprio sapere.

La città ne soffre perché è un organismo politico per eccellenza.

La mancanza di indirizzo politico nel governarla è cosa anomala e come sappiamo, in politica i vuoti vengono colmati. Il centro destra ha delle idee nefaste ma chiare e le persegue (illegalità territoriale, privatizzazione della città, irrobustimento del privato-immobiliare, indebolimento del potere pubblico) come dimostrano la Legge Urbanistica presentata, il Condono edilizio, Patrimonio Spa. Mentre il centro sinistra non ha un progetto comprensibile e chiaro (forse non ha un progetto). Questa assenza politico-culturale produce danni alla città, al territorio e quindi al vivere quotidiano delle persone.

I politici non danno ai tecnici chiari indirizzi da perseguire nelle trasformazioni della città e i tecnici usano gli strumenti della disciplina urbanistica spesso senza porsi domande (non è compito loro, ma ne fanno volentieri a meno) sul fine per cui li applicano, per quale idea di città, quali contraddizioni intendono superare e quali ceti sociali privilegiare.

In questo vuoto, finiscono per prevalere gli interessi di gruppi di potere forti

( proprietà immobiliare e fondiaria, consorzi di costruttori) non più guidati dalla mano pubblica.

Anche gli Amministratori si ritengono paghi di usare strumenti e programmi complessi, confondendo il fine con il mezzo.

Ci sono nella società civile energie e saperi che la politica potrebbe utilizzare per costruire quell’anello di congiunzione che oggi manca. "Aprile" come sappiamo si propone questo obbiettivo, perché ritiene che attraverso il coinvolgimento degli esterni ai partiti (che però non mancano di opinioni politiche), sia più facile il rinnovamento della politica. La possibile declinazione a sinistra dei temi di cui quotidianamente ci occupiamo, è il nostro contributo; ma non basta se la politica persevera a non occuparsi delle città, dove vive l’80% della popolazione, dove sono concentrati i capitali, i servizi rari, ma anche, le maggiori contraddizioni e differenze sociali.

I diritti urbani possono essere il terreno sul quale verificare la necessità di un confronto e avviare una sana convergenza o almeno le prove di dialogo.

Il diritto alla città – così descritto nella "Carta Mondiale per il Diritto alla Città": offerta di condizioni di opportunità equivalenti per i suoi abitanti - vita urbana basata sui principi della solidarietà, libertà, equità, dignità e giustizia - garanzia di spazi permanenti per la partecipazione democratica, nella constatazione che oggi parte della popolazione urbana è privata o limitata nella possibilità di soddisfare le necessità elementari, in virtù delle sue caratteristiche economiche, sociali, culturali, etniche, di genere e di età, e che degrado ambientale e privatizzazione dello spazio pubblico generano esclusione e segregazione sociale e spaziale.

Il diritto alla legalità del territorioè un valore di sinistra e ne siamo fieri, perché purtroppo la destra ha ormai esplicitamente dichiarato di rinunciarvi.

Il diritto alla differenza, alla convivenza e alla pace

Il diritto alla cultura urbana che comprende la bellezza della città e del paesaggio -- per affermare che ha valore anche ciò che non è monetizzabile

Il diritto all’equità - che impone di indirizzare le scelte, anche del mercato, verso il soddisfacimento dei bisogni a partire da quelli che non hanno voce per esprimerli

IL diritto alla casa –negato a chi non ha reddito o ha il colore della pelle sbagliato.

Sono questi e altri i "sistemi" attorno ai quali oggi chiediamo a politici, tecnici e amministratori il confronto, ognuno con il proprio ruolo, non perdendo di vista mai, le ragioni politiche, sociali, e direi etiche, del nostro agire e dell’appartenere ad uno schieramento politico di centro sinistra.

Riteniamo che il Sindacato impegnato nella difesa dei diritti dei lavoratori non possa essere assente dal tema dei DIRITTI URBANI, perché l’accesso ai servizi in una città diseguale discrimina per censo, mentre la loro estensione può costituire una forma di risarcimento sociale.

La città è un organismo collettivo, centro della vita politica, sede privilegiata della cultura e dell’economia.

Il potere politico e religioso si sono fatti rappresentare, nelle forme autoritarie, democratiche e mistiche, dall’impianto urbanistico, dall’architettura civile e religiosa, dagli spazi urbani.

Oggi il potere economico specula sulla città, la usa per aumentare la propria ricchezza, esige metri cubi da trasformare, costruire, vendere; mai come ora la città è stata solo mercato.

Il potere politico è abbastanza disinteressato ai suoi destini e a trasmettere, attraverso la rappresentazione durevole di se, quel modello statuale democratico che caratterizza la nostra società.

Il processo di globalizzazione ha investito, da tempo, non solo l’economia, ma l’architettura e le città. Non per esportare qualità, ma più spesso per omologare fra loro periferie prive di un’identità propria, accomunate da un segno distintivo: l’assenza di segno. Le città, soprattutto italiane, sono riconoscibili solo dai loro straordinari centri storici. Ma nel centro storico vive meno del 10% della popolazione urbana. Il resto è abbandonato nelle periferie, nelle quali ormai risiede una borghesia che ogni giorno vede ridotto il suo potere d’acquisto e mal tollera le condizioni di emarginazione cui è costretta, soprattutto riguardo ai problemi della mobilità causa di disagi economici, personali, ambientali. Ma in alcune periferie si concentrano anche sacche di povertà urbana, che la città opulenta vuole ignorare.

La presenza di lavoratori extra comunitari è destinata ad aumentare e la città deve attrezzarsi per dare risposte strutturali alle domande di chi cerca lavoro, alloggio, luoghi di aggregazione e integrazione.

Nella città diventata cosmopolita, più ricca di culture, esperienze, colore e nel piccolo paese che è ormai parte del mondo, sta emergendo il DIRITTO ALLA DIVERSITÀ e il bisogno di cercare in questa, proprio nel periodo della globalizzazione, il riconoscimento dell’identità degli individui e dei luoghi.

Nelle forti contraddizioni che sempre più emergono, si possono forse trovare le ragioni e le risorse per una rinascita urbana, sostenuta dalla consapevolezza che la città è un organismo collettivo e sociale, non la città di pochi ma il luogo di tutti.

In questa dimensione la città contemporanea può scoprire il senso della propria identità e la capacità di fondere equità e bellezza: il senso estetico dell'equità e il valore universale della bellezza tradotti in una nuova completa forma di civiltà urbana. Questo è possibile nella misura in cui la politica, la buona politica, ritorni ad occuparsi della città, non solo come bacino elettorale, ma per costruire, o meglio per tendere a quella città ideale che Pier Della Francesca disegnava, riconoscendo nello spazio pubblico, la qualità suprema, il significato più rappresentativo dell’ambiente urbano.

E’ una visione di città che vogliamo affermata anche nella città contemporanea per l’alto valore simbolico che rappresenta.

Se, come diceva Goethe "l’architettura è una musica pietrificata", possiamo esigere la melodia delle sue forme. Da tempo la bellezza non è fra i parametri richiesti, requisito ritenuto primario nei secoli e in tutti i luoghi della terra, oggi è considerato superfluo. Anche per questo abbiamo voluto provocatoriamente citare il DIRITTO ALLA BELLEZZA.

La Politica pensa che non siano fatti suoi. Ma un tempo, proprio chi governava esigeva il bello dall’architettura e dalla forma della città.

Bellezza intesa come patrimonio collettivo, bene che appartiene a tutti, ricchi e poveri, implica il dovere di assicurarla, di favorirla, di esigerla quale segno di rispetto per la cultura della società di cui è espressione.

La guerra in Iraq rappresenta l’emblema del negativo modello di risoluzione degli squilibri mondiali. Costruita sulla negazione dell’altrui cultura e identità, ha offuscato la storia millenaria di un popolo, culla della civiltà, per meglio distruggere persone e città senza volto, con l’atteggiamento arrogante di chi vuole "esportare la democrazia" ma che non ha ancora imparato ad applicarla nel governare il proprio Paese.

Arroganza e incultura sono alla base anche dell’appropriazione indebita delle opere d’arte italiane attraverso Patrimonio Spa. Il Governo di centro destra ha messo in vendita pezzi di città che da secoli appartengono alla gente di questo Paese, in quanto la "cosa pubblica" è cosa di tutti e non di due, anche se potenti, che la possono vendere a basso prezzo agli amici di oltre oceano e non solo. Ma non basta. La bellezza della città non può vivere di passato. Anche perché il nostro presente è il passato del domani. E la solidarietà verso le generazioni future riguarda le risorse, tutte esauribili, l’ambiente naturale, il paesaggio, ma comprende anche i luoghi urbani, così incomprensibilmente trascurati.

Il futuro delle città è quello che oggi progettiamo, nelle forme e nelle regole.

Governo delle Città è Governo della Complessità che non ammette semplificazioni.

L’architettura non deve perdere la sua funzione di "legante", di elemento costitutivo della città, fatalmente interagente con il suo intorno, in termini funzionali, morfologici e spaziali. Le opere di architettura, separate dal contesto in cui si collocano, seppur bellissime, sono dei totem, diventano preziose sculture.

Chi propone una città di architetture senza Piano, senza un disegno regolatore, senza un contesto di riferimento, forse intende solo contrastare giustamente quell’idea di città a due dimensioni che crede di risolvere tutto con qualche norma, qualche indice fondiario, tracciati viari, vincoli ambientali. La città ha bisogno di questo, ma è anche altro. L’architettura interviene in quella dimensione spaziale, epica e formale che lancia la città verso la tensione dinamica degli eventi umani.

Nei "pensieri di un uomo curioso" Albert Einstein afferma: "Gli ideali che hanno illuminato la mia strada e mi hanno sempre dato il coraggio di affrontare la vita con allegria sono stati gli affetti, la bellezza e la verità" e racconta "Nella vita quotidiana sono il classico solitario, ma la consapevolezza di appartenere alla comunità invisibile di quelli che lottano per la verità, per la bellezza e per la giustizia mi ha risparmiato ogni sensazione di isolamento."

E’ interessante notare come in entrambi questi pensieri, la bellezza sia coniugata ad altri valori.

Per realizzare una città bella, funzionale, dotata di servizi, occorrono spazi urbani adeguati e ben localizzati. Le città sono ostaggio dei meccanismi prodotti dal loro stesso impianto urbanistico e non sanno più uscire dal soffocante cordone che le circonda e stritola economia, vivibilità, salute. Questo problema si ingigantisce con la crescita della città. Ma il rapporto fra i luoghi dove si esercitano le diverse funzioni e in particolare la localizzazione dei servizi, vanno affrontati in ogni intervento di trasformazione urbana per rendere questi ultimi effettivamente accessibili.

I Piani Regolatori per "far quadrare gli standard", ricorrono ai vincoli delle tranquille aree agricole, mentre consentono l’edificazione di aree libere nelle zone densamente urbanizzate.

Senza la disponibilità di spazi centrali, spesso relitti di altri interventi, la riqualificazione urbana è molto ardua. Ma non è facile sottrarre alla speculazione edilizia i luoghi più remunerativi che hanno raggiunto i massimi valori della rendita. Così da tempo si utilizzano teorie che giustificano la loro edificazione che nulla ha a che fare con l’interesse collettivo.

Se i servizi sono un diritto dei cittadini la prima operazione consiste nel reperimento di aree per realizzarli e quelle libere esistenti interne al centro edificato sono le più pregiate sia per il privato che per il pubblico.

I vuoti sono come le pause tra una parola e l’altra e come queste, sono fondamentali per rendere comprensibile il discorso urbano.

Un pensiero corrente, contenuto peraltro nell’articolo di una proposta di legge presentata alla Camera, afferma che i vuoti urbani devono essere "costruiti" per evitare l’espandersi della città. Ma nonostante i proclami di urbanisti e amministratori, la città non ha contenuto i suoi confini, e con l’ipocrita giustificazione di evitare ulteriore consumo di suolo (fatto che sistematicamente e contemporaneamente è accaduto) si sono perduti gli ultimi spazi di città inedificata. Nella città costruita dovrebbe accentuarsi l’attenzione del pianificatore, e dove più alta è la densità edilizia, più forte e determinata dev’essere la difesa di luoghi ecologicamente funzionali alla salute e alla bellezza della città. Nessuno ha dubbi che sia meglio un grande parco che un gruppo di condomini, ma a questi è anche preferibile uno spazio abbandonato, che permetta ai ragazzi di giocare e ai residenti di vedere qualche volta dalle case un lembo di cielo.

A Padova un’area centrale vicina alla Stazione, dove poteva sorgere un auditorium o meglio un parco, nonostante il girotondo di associazioni e partiti di centro sinistra, è stata messa all’asta e prima o poi il vuoto si riempirà.

Sono temi che si confrontano con le ragioni e i problemi della sovraproduzione edilizia, rispetto alla crescita demografica, che storicamente non ha ridotto la divaricazione fra domanda e offerta di alloggi, soprattutto in termini di costi e "titolo di godimento", ma risponde alla convenienza e al minor rischio offerto all’investimento.

In Italia negli ultimi 4 anni vi è stato un incremento della produzione edilizia del 28% (superiore agli altri Paesi), secondo Nomisma, dovuto ai deludenti risultati del mercato azionario rispetto al rendimento degli immobili ad uso residenziale (16%).

La rata del mutuo per comperare una casa è in alcuni casi inferiore al canone d’affitto.

Quindi le forti pressioni del mercato immobiliare devono essere indirizzate verso il recupero dell’edilizia esistente, il soddisfacimento del fabbisogno pregresso di aree verdi, servizi, case in locazione anche a canone sociale, affinchè questa congiuntura favorevole all’investimento nel così detto "bene rifugio" non si risolva nel solito aumento di territorio urbanizzato sempre meno utilizzato, ma si traduca in qualità urbana o in deterrente verso i facili guadagni della rendita fondiaria.

Questo modo di indirizzare la domanda di investimento nel settore edilizio, che oggi preme sulla Pubblica Amministrazione può venire in soccorso al Comune nell’acquisizione di aree e costruzione di servizi, compresa la residenza a canone sociale.

Uno strumento che, se oculatamente adoperato, potrebbe tradurre concretamente questa volontà politico-amministrativa in standard non costretti a rimanere solo sulle tavole dei PRG è la perequazione.

E’ giusto fornire con un articolo di Legge dettagliato e preciso l’indicazione dei fini e le modalità di applicazione di questo nuovo strumento che può produrre nella città effetti opposti. La perequazione ha amici e nemici, ma soprattutto interpreti molto diversi. Non propongo sintesi ne mediazioni, mi limito a considerare le opportunità che questo strumento può offrire e i danni che se mal regolamentato può arrecare e come secondo me dovrebbe funzionare per essere cosa buona e giusta, rimandando anche a ciò che è scritto nell’allegata Nota sul Governo del Territorio e nei relativi emendamenti al testo.

Innanzi tutto due premesse: 1) la città, per essere tale, ha bisogno di servizi veri, realizzati e gestiti. 2) i dati sul fabbisogno pregresso e la sconfortante prospettiva sulle risorse finanziarie degli Enti Locali inducono ad una riflessione sul presente e futuro delle città, grandi incompiute nell’offerta di servizi pubblici e collettivi.

Dopo oltre 30 anni di standard e di Piani che li indicano sulla carta, dove a lungo rimangono, anche se proposti in misura sempre superiore alle percentuali obbligatorie, la presenza di servizi realizzati è insoddisfacente e inadeguata ai bisogni. L’esproprio, strumento necessario ma non sufficiente, non va cancellato, bensì sostenuto da forme complementari ed efficaci di acquisizione di aree e realizzazione di beni e servizi, perché in questi 50 anni ha dimostrato l’incapacità di procurarli alla città, privando di conseguenza i cittadini di diritti fondamentali per la vita collettiva, sociale, politica, culturale. La sua applicazione, e lo sa chi ha amministrato una città, non sempre è stata espressione di equità.

Forse, una perequazione ben concepita potrebbe avviare un processo di risanamento della città intesa come sistema integrato di funzioni in controtendenza alla sua progressiva privatizzazione. Potrebbe inoltre includere fra i servizi, quella residenza sociale, sempre più dimenticata perché elettoralmente poco remunerativa. IL DIRITTO ALLA CASA potrebbe avere una prospettiva se in ogni trasformazione urbana una percentuale di superfici edificabili venisse obbligatoriamente ceduta come standard al Comune che, gradualmente, ma sistematicamente verrebbe dotato di un patrimonio pubblico di alloggi e di aree.

Affinché questi benefici effetti si producano, sono però necessarie tre condizioni: 1)gli interventi di trasformazione devono offrire servizi superiori agli standard minimi dei piani di lottizzazione, che tengono conto solo delle esigenze interne al perimetro del pdl; si consentirebbe in tal modo la realizzazione di fasce verdi lungo i corsi d’acqua che attraversano la città e di altri corridoi ecologici, in modo da dare continuità a sistemi ai quali di solito corrisponde un assetto proprietario frammentato quasi impossibile da acquisire. 2) le scelte urbanistiche vanno fatte a prescindere dallo strumento perequativo per non essere "giustificazioniste" di potenzialità edificatorie in eccesso. 3) la cosidetta "compensazione" si carica di rischi se sottrae al nuovo PRG la forza e l’autorevolezza di modificare le destinazioni del precedente Piano, con il risultato di sommare ai nuovi interventi, quelli ancora giacenti e non consumati nel vecchio PRG. E’ inoltre una subdola forma di deregulation se oltre a consentire incrementi della capacità edificatoria allo scopo di ottenere aree o servizi (punto 2) prevede per le "giacenze" del vecchio Piano, trasferimenti di metri cubi in cerca di localizzazione (come previsto nelle proposte di legge presentate).

Se queste devianze non sono rimosse, la perequazione può trasformarsi da cosa utile, in nefasta.

Un’ampia riserva di aree pubbliche, che attraverso lo strumento perequativo si possono ottenere, è condizione necessaria per gestire l’urbanistica, inoltre in quanto pubbliche, si sottrarrebbero agli effetti sempre incombenti della decadenza dei vincoli.

E’ un dibattito da poco iniziato che va approfondito e affrontato in modo teorico e pragmatico, per verificare, (con la voglia di sperimentare forme efficaci) la possibilità di dotare le città di servizi pubblici, accessibili a tutti, sostenuti da una gestione che non pretenda profitti dall’uso di un giardino di giochi o dall’erogazione dell’acqua potabile. La differenza fra Pianificazione e Governo del territorio sta anche nell’inserire la gestione dei servizi e le risorse finanziarie nello strumento, che è anche, ma non solo, pianificatorio. Un processo integrato che più di prima necessita di concertazione e assunzione di responsabilità politiche e amministrative non delegabili.

Sono i temi centrali che la LEGGE SUL GOVERNO DEL TERRITORIO contiene.

E’ la Legge che dopo oltre mezzo secolo sostituisce la n°1150 del 1942; non è una come tante, ma il caposaldo delle politiche territoriali, il riferimento culturale e operativo che informerà gli atti successivi e paralleli, una sorta di Costituzione del territorio, la sua Magna Carta.

La nuova Legge è investita da un grande compito, anche didattico. Rappresenta in questo momento la scansione più forte dell’attività di pianificazione, costruzione, governo del territorio, che nel nostro Paese si stia compiendo. Non potremmo mai perdonare, se dopo aver lasciato trascorrere invano una legislatura senza aver compiuto il nostro dovere di cittadini e legislatori, lasciassimo ora correre sul piano inclinato su cui sembra scivolare silenziosa e apparentemente asettica una legge i cui presupposti finora formulati condurrebbero ad una involuzione culturale e sociale.

Dal testo unificato all’esame della Commissione è assente il problema della "casa", i servizi sono ridotti ad un optional affidato ai privati, il governo del territorio è condiviso con un privato "prevalente", la pianificazione sottratta, ad arbitrio delle Regioni, all’organo democraticamente eletto.

Il Piano Regolatore Generale, momento fondamentale del processo di pianificazione regolamentato dalla Legge, è l’atto più importante compiuto dal Comune sul quale spesso si giocano le sorti del consenso elettorale. I cittadini vi pongono particolare attenzione, perchè sono interessati al futuro della loro città, alla qualità del loro vivere quotidiano, al benessere, alla salute, alla localizzazione dei luoghi di lavoro, al tempo che impiegheranno per raggiungerlo. Il Piano dirà dove manderanno i figli a scuola, in palestra, a giocare, dove faranno la spesa, se troveranno una casa e se avrà un costo rapportato al proprio reddito.

Il testo unificato proposto dal relatore Lupi, certo non passerà alla storia, ma il compito di commentatori esterni al Parlamento non è quello di sostituirsi agli eletti, bensì di fornire in termini propositivi suggerimenti, eventuali alternative, evidenziando aspetti negativi del testo, rispetto ai fini ai quali dovrebbe rispondere. Evitando di avventurarci nel campo proprio del legislatore, anche se consideriamo la proposta sotto l’aspetto tecnico legislativo molto modesta, ci interessa entrare nel merito delle grandi questioni che informeranno il futuro delle nostre città e del territorio.

Sarebbe politicamente interessante se il centro sinistra presentasse emendamenti comuni, almeno sulle questioni fondamentali. Noi abbiamo cercato di dare il nostro contributo attraverso la predisposizione di una proposta di emendamenti al testo, così detto unificato e con la Nota alla legge sul Governo del Territorio che presentiamo al Centro Sinistra, contenente i seguenti punti che riteniamo essenziali:

  1. la formulazione in termini chiari ed espliciti dei fini che la legge propone debbano essere alla base delle trasformazioni del territorio 2) il riconoscimento che l’ente istituzionalmente eletto è l’unico organo cui spettano i compiti di governo e pianificazione del territorio e le scelte di indirizzo degli interventi privati 3) la prevalenza dell’interesse pubblico e collettivo, che si manifesta nella tutela dei beni e nel riconoscimento dei diritti urbani fondamentali.

Passerà forse del tempo prima che si chiarisca il senso dell’estensione prodotta dalla Riforma Costituzionale al Governo del Territorio, che è non solo pianificazione urbanistica, ma è pericoloso ed errato ritenere che non la comprenda.

L’erogazione dei servizi non può essere concepita solo in termini prestazionali (come contemplato nel testo della maggioranza) perchè la legge sul Governo del Territorio che include la pianificazione territoriale non può prescindere dal prescrivere in termini quantitativi e qualitativi l’obbligatorietà dell’individuazione di luoghi fisici da destinare ai servizi, oggetti spazialmente collocati, che offrano logisticamente la possibilità di esercitare le funzioni alle quali parte dei diritti urbani fanno riferimento. Questo è compito di chi amministra la cosa pubblica, che non può delegare al privato le scelte politico amministrative che gli competono, confondendo con sussidiarietà la spogliazione di funzioni, poteri, decisioni, per svolgere i quali, l’amministratore pubblico è stato eletto.

La gestione entra a far parte de Governo del Territorio; va quindi ricordato che le ragioni che inducono l’Ente pubblico ad affidare ad una società privata la gestione dei servizi, sono l’efficienza e il risparmio.

Il giudizio va pertanto dato sui risultati ottenuti rispetto, alla qualità e ai costi, ovvero sulla valutazione delle prestazioni. E’ necessario affrontare il problema pubblico / privato con maggiore laicità, superando vecchie categorie che attribuivano al "privato" competenza e modernità e al "pubblico" arretratezza e inefficienza.

Le esperienze in atto sembrano dimostrare che nell’attuale gestione privata dei servizi non sono chiari gli indirizzi politici, i parametri di valutazione sui risultati, il controllo da parte degli utenti, manca la costruzione di un protocollo prestazionale rigoroso e garantista del pubblico interesse.

Considerare diritti alcuni servizi essenziali contribuisce ad accrescere il livello di civiltà urbana.

Ne derivano obblighi non banali. Per l’acqua potabile significa tutela della fascia di ricarica degli acquiferi, costi accessibili a tutti, garanzie di erogazione e qualità del prodotto. La distinzione fra bisogno e diritto di un servizio, sta nell’obbligatorietà o meno di assicurarne la fornitura anche a coloro che per motivi di reddito hanno difficoltà ad accedervi. La spesa del riscaldamento, per alcuni insostenibile, mette a grave rischio proprio la salute dei soggetti più fragili: anziani e bambini. La casa, rimane un grave problema per alcune categorie. E’ uno scandalo che ogni inverno muoiano di freddo persone senza casa. Dopo l’aggressione subita dal "barbone" a Roma mentre difendeva 5 ragazze, il Comune, nella città dove vivono 6000 senza tetto, ha allestito delle tende con 150 posti letto che la notte sono sempre occupati. E’ forse l’espressione più esplicita del divario che la città vive fra grandi ricchezze e negazione di bisogni elementari.

Violante, nel suo libro "le due libertà", esprimendo un pensiero di sinistra che profondamente condivido e che non vorrei che la Sinistra nella sua evoluzione perdesse, afferma l’esigenza della libertà dai bisogni materiali, quelli che impediscono all’individuo di uscire dalla sofferenza delle privazioni quotidiane.

In un mondo diseguale, che sull’affermazione e la pratica della diseguaglianza fonda la possibilità di alcuni di vivere nel benessere e nell’eccesso, assistiamo a paradossali squilibri nelle città in cui viviamo, che crescono in rapporto alla loro dimensione.

Il governo della complessità cui è destinato il governo della città implica una visione integrata e unitaria del territorio. Energia, acqua, cibo, sono beni che la città consuma, produce rifiuti, e si avvale del territorio esterno per smaltimento, inquinamento, approvigionamento.

E’ quindi essenziale mantenere una visione d’insieme, nel rapporto fra città e campagna, fra territorio urbanizzato e non, perché hanno fra loro uno stretto rapporto di interdipendenza e reciprocità.

La città è il luogo in cui convivono le maggiori contraddizioni, dove i conflitti possono trasformarsi in partecipazione, le differenze in diritto di cittadinanza, si possono risarcire le diseguaglianze e rafforzare la democrazia.

E’ LA CITTA’ DEI DIRITTI URBANI

Le riflessioni che emergeranno da questo Convegno, il Contributo Programmatico che offriamo al Centro Sinistra, la Proposta di Emendamenti alla Legge sul Governo del Territorio, tutto è finalizzato ad individuare i capisaldi di un’azione politica che anche attraverso strumenti tecnici, dia alla città e ai cittadini quella qualità ambientale che è fatta di bellezza delle forme in armonia con la convivenza civile, la solidarietà, la sicurezza, la salute, l’equità, la riduzione delle diseguaglianze, attraverso l’esercizio dei diritti urbani, primo fra tutti il DIRITTO ALLA DEMOCRAZIA, che va esercitato e quotidianamente conquistato.