VERSO L'ASSEMBLEA DI APRILE
Un'altra politica è possibile
Aprile: la nuova politica tra partiti e movimenti
L'anno che abbiamo alle spalle è stato l'anno dei movimenti e di un nuovo protagonismo della società civile. Milioni di persone, a partire dai lavoratori, da anni poco "visibili" e considerati ininfluenti sulla scena politica, hanno preso la parola, e hanno manifestato -in una stagione che per dimensioni quantitative e per passione ha pochi precedenti nella storia repubblicana- la loro intenzione di contare, e di cambiare le cose. Una nuova generazione è scesa in campo, portatrice di un approccio critico alla globalizzazione e al pensiero unico liberista, e di una netta opzione per la pace. Sono tornati, dopo molti anni, a mobilitarsi attivamente ampi settori dell'intellettualità e delle professioni, preoccupati principalmente dell'involuzione democratica in atto.
Aprile, sorta dalle idee e dalla battaglia comune condotta con Giovanni Berlinguer al Congresso di Pesaro dei DS, è nata in questo frangente, ed è stata partecipe, protagonista, in alcuni momenti artefice di questa stagione che è tutt'altro che esaurita.
Il tratto comune delle tante espressioni di soggettività sociale e civile è una domanda di partecipazione, di riappropriazione e di rifondazione della politica. Appare a queste parti della società -certo: non ancora maggioritarie- insopportabilmente lontana l'idea e la pratica della politica che si è venuta consolidando negli anni. E se grandi corpi vitali -come i partiti popolari della sinistra, a partire dai DS, come una rinnovata idea di Ulivo dal basso, e come la CGIL, divenuta punto di riferimento di questa stagione- appaiono come l'interlocuzione naturale dei movimenti, tuttavia occorre cogliere la domanda radicale di discontinuità rispetto a un'idea e a una pratica "professionistica", elitaria, autoreferenziale. I "politici", termine dispregiativo, sono i professionisti, gli eletti, coloro che vivono della funzione rappresentativa che ricoprono. La politica, lungo più di venti anni, è stata progressivamente confiscata dalla crisi delle democrazie nelle società più avanzate. Torna il potere del denaro -i soldi, la pubblicità, le televisioni-, e gli strati socialmente deboli, discriminati, esclusi sono spinti all'astensionismo, o a mettere sul mercato il loro consenso. Siamo di fronte a un problema generale, che tuttavia in Italia -col berlusconismo- si è manifestato in forma più acuta. Si sono venuti producendo vincoli normativi -basti pensare alle retribuzioni a tutti i livelli degli eletti- che hanno via via consolidato e cristallizzato un "ceto politico". Il trasformismo, il personalismo esasperato, l'indifferenza ai valori e agli ideali, la mancanza di un vero ricambio, l'assenza di codici deontologici di coerenza, di generosità e di gratuità hanno largamente svilito la funzione politica.
Esiste in Italia una moderna e grande "questione morale": non solo per la presenza ingombrante di un gigantesco conflitto di interessi, e perché ha ripreso vigore il sistema della corruzione e il nesso tra mafia e politica, ma perché c'è il bisogno di una rifondazione civile della politica, di una centralità dei valori fondanti le diverse posizioni, e di una nuova etica pubblica. Il valore della partecipazione democratica dev'essere al centro di questo processo.
E' su questo crinale che Aprile intende definire la propria "missione". Abbiamo detto che siamo "ponte", tra la sinistra e il centrosinistra, ma soprattutto tra la politica e la società: coi movimenti che hanno preso corpo in questa stagione, e con quella larga parte della società esclusa, oltreché da un sistema di diritti condivisi, anche dalla partecipazione democratica. Dobbiamo avanzare un'idea che non limita la visione della democrazia al problema essenziale e irrinunciabile del suo carattere rappresentativo, ma che accompagna a una rinnovata visione democratica e larga della funzione rappresentativa, un'idea di partecipazione e di protagonismo della società civile come valori in sé, come fattori di inclusione e di giustizia.
Nei movimenti non si afferma l'idea, inseguita molte volte negli ultimi vent'anni, di trasformarsi in partiti. Ma si respinge anche ogni tentazione dei partiti di inglobarli. Si tratta in larga misura di istanze propositive, tante volte tematiche. Chiedono quindi una pratica fondata di più sull'ascolto e sul coinvolgimento.
Anche per queste ragioni Aprile non è né sarà mai un partito. Aprile non è una corrente. Aprile è un punto di una rete in cui l'autonomia di ciascuno sia un valore portante, e si metta in comune un patrimonio di idee, di iniziative, di partecipazione. Pensiamo a un forum di associazioni e movimenti -con al centro il tema di una nuova idea partecipativa della politica- che, come detto a Firenze il 10 gennaio 2003, potrebbe diventare una delle gambe di una coalizione nuova di centrosinistra.
Aprile può quindi essere un esempio di contaminazione tra eletti, militanti di partito, dirigenti e iscritti alla CGIL e all'ARCI e a tanti altri movimenti e associazioni, semplici cittadini. Per sua natura Aprile avrà un carattere federale, orizzontale, non gerarchizzato. Non si occuperà, per scelta di principio, di liste o di candidature -compito dei partiti, delle loro correnti, delle coalizioni: compito, speriamo in un futuro prossimo, dei cittadini-. Si occuperà, partendo dai principi costitutivi del manifesto del 7 aprile 2002, dell'agenda della politica, dei suoi contenuti dirimenti, e delle modalità partecipative e democratiche di una nuova politica.
Costruire la pace, affermare il valore dell'eguaglianza, espandere la democrazia: muovendo da queste scelte di valore intendiamo affrontare la stagione che abbiamo di fronte a noi.
COSTRUIRE LA PACE
Siamo alla vigilia del probabilissimo conflitto irakeno, primo atto di una guerra senza precedenti. Il nostro no comunque, la nostra analisi sulle ragioni energetiche, economiche, politiche della dottrina della guerra preventiva e della visione imperiale delle relazioni mondiali da parte dell'amministrazione Bush sono state apertamente manifestate. Ma per affrontare l'offensiva ideologica e propagandistica con cui, tanto più in Italia, visto lo schieramento di Berlusconi, si cercherà di giustificare questo conflitto, occorre essere saldi attorno ad alcune idee semplici e chiare:
1) l'uso limitato della forza è patrimonio esclusivo dell'ONU che nella sua carta lo circoscrive a casi limitatissimi -aggressioni armate ad un altro paese, per esempio-, lo definisce come misurato e lo prevede solo come "extrema ratio", dopo aver esperito ogni altro tentativo diplomatico. La guerra preventiva è la negazione della carta dell'ONU. Se il consiglio di Sicurezza fosse spinto, o costretto a giustificarla, il colpo all'ONU sarebbe drammatico;
2) la riforma democratica dell'ONU e degli altri organismi internazionali è la battaglia fondamentale della sinistra dei prossimi anni; intendiamo avanzare le nostre idee e proposte; negli anni 90, pur in presenza di ragioni che parzialmente giustificavano l'uso della forza, c'è stata poca attenzione anche a sinistra al tema della legalità e della legittimità internazionale;
3) la proposta di un articolo 11 della costituzione europea connette l'idea e il futuro di Europa -come civiltà aperta, laica, democratica, tollerante- alle nuove Nazioni Unite;
4) la Corte Penale Internazionale dev'essere pienamente investita anche del compito di condurre la lotta al terrorismo; essa infatti richiede l'uso di strumenti di polizia e giudiziari, e non militari -essi producono nuovo terrorismo, e finiscono col giustificarlo agli occhi di molti-;
5) è finita l'epoca di ogni relativismo etico nei confronti di dittature e di violazioni di diritti umani; la Corte Penale è lo strumento universale per condurre questa battaglia; la guerra, invece, favorisce e legittima i sistemi totalitari, e non c'è democrazia che si possa esportare sulle canne dei fucili. L'alternativa è un'altra idea, più ricca idealmente e eticamente, della politica estera, degli investimenti e del commercio dei singoli stati e dell'Europa, che non possono essere indifferenti al grande tema dell'affermazione universale dei diritti della persona.
Oggi non si tratta solo di dire di no alla guerra, ma di "costruire la pace". I temi principali -in rapporto al FSE di Firenze, all'FSM di Porto Alegre, e all'avvio tardivo di una riflessione nell'Internazionale Socialista- su cui intendiamo portare un contributo sono:
a) un altro modello di sviluppo, ecologicamente sostenibile, scarsamente energivoro, fondato su principi di sobrietà e di qualità; il tema della transizione per la fuoriuscita dall'economia del petrolio, di altri modelli individuali e collettivi di mobilità. È la sfida capitale per la sinistra -come ci dimostra anche la crisi FIAT-; la battaglia per l’entrata in vigore del protocollo di Kyoto (manca, vista l’opposizione di Bush, solo la Russia) è l’occasione globale di una modernizzazione e riconversione ecologica;
b) la sottrazione di alcuni grandi beni comuni -a partire dall'acqua- alle logiche del mercato e l'opposizione, anche in sede WTO, a tutte le tendenze a privatizzare i servizi pubblici; l'accesso universale a questi beni, il loro rispetto e il diritto di tutti all'acqua sono per noi scelte dirimenti;
c) una fiscalità democratica globale, di cui la tobin tax è il primo tassello, con l'obiettivo di ridistribuire universalmente le risorse;
d) una vertenza con il FMI e la BM affinché rivedano ora i parametri e gli indirizzi delle loro politiche nei confronti dei paesi del sud del mondo;
e) il diritto al sapere per tutti, la lotta contro il digital divide, il free software come alternativa al protezionismo delle grandi multinazionali della net-economy;
f) i diritti dei lavoratori, la condizione dei minori, i diritti delle donne come diritti universali e inalienabili; essi vanno difesi e affermati in ogni parte del mondo, vincolando gli investimenti e le presenze industriali dei paesi ricchi alla promozione di conquiste elementari dei lavoratori e delle persone;
g) una nuova cooperazione internazionale, rilanciata e potenziata -raggiungendo e superando lo 0,7% in tempi ravvicinatissimi-, con l'obiettivo di promuovere il commercio equo e solidale, un'economia meno speculativa e l'autosufficienza agroalimentare di tutte le aree del mondo.
L'Europa, a partire dalla conclusione della Convenzione, oggi è tragicamente minacciata dalla guerra in Irak. Al tentativo di Bush di dividere l'Europa non dobbiamo rispondere con l'antiamericanismo, ma con la capacità di collegarci alle culture democratiche e avanzate degli USA, fortemente preoccupate della deriva reazionaria impressa da Bush alla principale potenza planetaria.
I processi di allargamento, se non c'è una svolta democratica delle istituzioni europee, possono portare nuove divisioni e nuove chiusure. L'Europa ha dossier -col Maghreb, con l'area subsahariana, col Mercosur e l'America Latina- da cui dipende la propria credibilità di potenza di pace e di sviluppo.
E' bene che i risultati della Convenzione siano sottoposti al vaglio dei cittadini europei, con un referendum.
IL VALORE DELL'EGUAGLIANZA
La lotta per la difesa dell'articolo 18 dello statuto dei diritti dei lavoratori, che ora dovrà riprendere, dopo lo stralcio di quelle norme dalla delega approvata dal Parlamento sul mercato del lavoro, con il prossimo esame dell’848bis, è diventata -per ragioni materiali e per ragioni simboliche- il centro della stagione sociale che abbiamo alle spalle e che stiamo vivendo. Ha fatto bene la CGIL a sostenere che quella difesa di un diritto per milioni di lavoratori era anche una proposta per altri milioni di lavoratori -dipendenti delle aziende fino a 15 addetti, CO.CO.CO. e flessibili, lavoratori in nero e precari, lavoratori extracomunitari- che quel diritto al reintegro non lo vedono riconosciuto, né sono provvisti di altri diritti e garanzie universali.
Una società fondata su diritti universali riconosciuti è una società in cui gli individui sono più liberi e più forti, ed è una società più coesa e più sicura. Oggi la flessibilità, lungi dall'essere sentita come libertà e versatilità nel piano di vita di ogni individuo, è diventata sinonimo di precarizzazione di massa e di incertezza. L'identità sociale si forma così assai più nel consumo, fortemente omologato e spersonalizzante, che non nel lavoro, il cui valore e il cui riconoscimento vengono sminuiti. Non abbiamo certo nessuna nostalgia delle vecchie rigidità del sistema fordista -perché sappiamo quanto sfruttamento e quanta alienazione crescevano nella catena di montaggio-. Ma è proprio l'individuo, in quanto persona, portatore di specificità e di differenze, che viene compresso e annullato nella logica della precarizzazione, dell'individualismo, dell'omologazione, del consumo di massa.
Questa impostazione porta a due conseguenze. La prima: si apre la stagione del nuovo alfabeto dei diritti del lavoro, con l'obiettivo di garantire un sistema universale di prestazioni sanitarie, assistenziali e previdenziali per tutti, e di conquistare il diritto al sapere e alla conoscenza in tutte le stagioni dell'esistenza per ognuno. Questa impostazione parla anche a tante parti del lavoro autonomo, portatrici di una domanda di diritti, di garanzie e di welfare, e non di liberismo e di deregolazione. Le deleghe già approvate dal Parlamento -come quella sul mercato del lavoro, che devasta ulteriormente il mercato del lavoro e il sistema delle garanzie, col rischio di travolgere di fatto l'articolo 18 e lo statuto entro pochi anni- e quelle all'esame, fino alle gravi minacce che incombono sul sistema previdenziale- rappresentano un'idea di società che colpisce al cuore e distrugge il modello sociale europeo.
Per queste ragioni siamo convinti che si debba e si possa trovare in Parlamento la via legislativa per rispondere al quesito referendario, al fine di colpire i licenziamenti ingiusti nelle piccole aziende e in altri settori più precari del mercato del lavoro e di affermare altri diritti universali oggi non garantiti a tanti lavoratori e lavoratrici. Diverse proposte sono state presentate in Parlamento, e particolarmente significativa è quella avanzata dalla CGIL. Ci impegnamo a sostenere la via legislativa. Se qualcuno dovesse far fallire questa via, ci esprimeremo, in occasione del referendum per la piena affermazione dei diritti dei lavoratori.
La seconda conseguenza è, con Amartya Sen, la visione dello sviluppo come libertà, e della libertà non solo come attributo individuale ma come impegno sociale. Competitività e giustizia sociale vanno assolutamente insieme: una società più giusta è più competitiva, e l'idea di innovazione e di cambiamento che porta avanti la sinistra è alternativa a quella visione povera -volta a diminuire il costo del lavoro e a precarizzare gli individui- che propugna la destra, in Italia con una massiccia legalizzazione di comportamenti illeciti o apertamente criminali. Al centro della nostra idea di sviluppo e di competitività ci sono invece da un lato la cultura, il sapere per tutti, il potenziamento del sistema formativo, l'educazione permanente, la ricerca, una dose massiccia e imponente di innovazione tecnologica nell'economia, nella pubblica amministrazione, nella vita associata; e dall’altro l’ambiente, la consapevolezza cioè che la distruzione ambientale è stato un fattore che ha indebolito la competitività italiana, e che le sfide della modernizzazione ecologica dell’economia e di un’ecologia della produzione e del consumo sono le più importanti per impedire il declino del paese.
Ecco le ragioni per cui intendiamo promuovere una piena riabilitazione della parola "eguaglianza". Non si tratta solo di aiutare, o di "includere" chi ha di meno, affinché soddisfi le proprie necessità minime, o di attenuare la disuguaglianza, ma di proporsi l'eguaglianza come obiettivo legittimo e necessario del nostro progetto, non solo valore compatibile con la libertà, ma necessariamente apprezzato da chi apprezza la libertà. Ed è la tassazione uno degli strumenti fondamentali per affermare questa visione. Il centrosinistra deve quindi rompere nettamente con ogni subalternità alla visione fiscale degli anni 90 -dietro cui c'è l'idea per noi inaccettabile che la tassazione sia di per sé dannosa, a cui corrisponde l'altra idea inaccettabile dello "stato minimo" e delle privatizzazioni selvagge. Non si tratta, anche in questo campo, di immaginare il ritorno a vecchie forme di intervento statale, soprattutto in campi tipicamente del mercato: ma una nuova idea del pubblico, e la salvaguardia di alcuni grandi beni materiali e immateriali come patrimonio di tutti, non sottoposto alle logiche del mercato.
La sinistra e il centrosinistra vincono se si dimostrano più equi e più capaci di sollecitare il potenziale dinamico e coesivo della società. Al tempo stesso solo l'assunzione del valore dell'eguaglianza può dare un connotato efficace alle politiche dell'inclusione -che non è sinonimo di eguaglianza- e della lotta alla povertà, sapendo che un'effettiva "eguaglianza di opportunità" -non solo formali, ma forti, come quelle legate al sapere- si misura, a valle, anche in termini di "eguaglianza dei risultati". Troppe disparità nei risultati indicano una disuguaglianza inaccettabile e, d’altro canto, sono contestabili principalmente con processi di "eguaglianza delle capacità" , eguaglianza, cioè, di libertà concrete di essere, di fare, di sapere, di accedere all’inofrmazione, di partecipare, di decidere .
L'ESPANSIONE DELLA DEMOCRAZIA
Negli anni 90 il pensiero unico ha portato con sé non solo un'idea di mercato e di consumi, ma un'idea di politica e di decisione. E' stata assunta acriticamente anche a sinistra la convinzione che nell'era della comunicazione veloce, la decisione dovendo diventare veloce avesse la necessità di liberarsi di ciò che si consideravano "inutili orpelli" democratici e partecipativi. La globalizzazione delle merci e dei capitali ha sicuramente svuotato una parte delle vecchie funzioni delle democrazie rappresentative nazionali. Al tempo stesso i nuovi organismi di "governance" planetaria sono privi di legittimazione o di assetto democratico.
Ma è vero che ogni forma democratica e partecipativa, dalle comunità locali alle nuove identità indigene, dal protagonismo delle ONG e della società civile alle forme di partecipazione nella rete telematica, vanno considerate vecchie, arcaiche, obsolete? O al contrario la sinistra deve fondare -o rifondare- un'idea democratica e di governo più ampia, basata sulla difesa e il rafforzamento delle forme attuali di democrazia rappresentativa, sulla democratizzazione e il rafforzamento delle organizzazioni internazionali e, infine, sul riconoscimento del ruolo e del contributo autonomo delle forme di democrazia partecipativa e sulla valorizzazione delle differenze -un nuovo protagonismo della società che non si esprime solo alle elezioni-?
Ecco perché non possiamo considerare le forme fin qui conosciute di democrazia come il compimento della storia. La loro riduzione e il loro progressivo svilimento, negli anni del neoliberismo, del resto, testimonia ampiamente della loro incompiutezza.
In Italia questi processi si manifestano in forma più contradditoria. Da un lato la gerarchizzazione della delega, il presidenzialismo di fatto, l'attenuazione dei principi liberali della separazione dei poteri -non solo i tre grandi poteri di cui trattava Montesquieu: l'identità tra potere politico e potere mediatico-, l'enorme e sproporzionata quantità di denaro a disposizione della coalizione di governo, l'insofferenza per ogni strumento di controllo e per l'indipendenza della magistratura, il gigantesco conflitto di interessi (tv, pubblicità, calcio) di Berlusconi, configurano un preoccupante grado di involuzione democratica, e di minaccia per alcuni principi costituzionali. E' in atto palesemente una tendenza, dai fatti di Genova del luglio 2001 all'attacco alla CGIL e alle lotte sindacali e pacifiste, a demonizzare i movimenti e a provocare problemi di ordine pubblico. La stessa presenza incombente e ricorrente, specie quando torna in campo il valore della partecipazione democratica, di gravissimi e per lo più impuniti fenomeni terroristici si inquadra in questo contesto. Questi fenomeni si inscrivono nella più generale crisi delle democrazie, ma assumono forme più apertamente patologiche.
Dall'altro lato-anche mossa da una preoccupazione per ciò che quotidianamente avviene- è più acuta che in altri paesi forti la spinta e la domanda partecipativa, di cui abbiamo parlato all'inizio.
Ecco perché ci collochiamo su una linea di difesa intransigente della Costituzione repubblicana, e riteniamo non vi siano le condizioni di un dialogo e di una riforma istituzionale in questa legislatura. Dialogo e riforma passano obbligatoriamente attraverso la sconfitta della destra italiana, dell'impasto populista e antidemocratico che si è realizzato, e attraverso la risoluzione alla radice del conflitto di interessi che corrode la democrazia.
Ciò non vuol dire non avanzare una nostra visione dei problemi istituzionali. Essa si fonda, appunto, sulla convinzione che occorra espandere e allargare le forme della democrazia, rafforzando il carattere effettivamente rappresentativo delle istituzioni repubblicane, e riconoscendo il valore irrinunciabile della democrazia locale e delle forme di partecipazione:
1) va rafforzato il ruolo del Parlamento, con una sola camera legislativa con 400 deputati;
2) il premier, secondo le indicazioni della proposta Bassanini-Salvi che facciamo nostra, in un quadro bipolare, deve rispondere al Parlamento;
3) il capo dello stato deve mantenere e rafforzare prerogative di garanzia costituzionale;
4) la legge elettorale deve rispondere all'esigenza di combinare la competizione bipolare con la capacità di rappresentare le tendenze;
5) il federalismo solidale si deve affermare ridando centralità ai Consigli regionali, decentrando le funzioni amministrative dalle Regioni ai Comuni e garantendo i livelli universali delle prestazioni sociali, il carattere unitario della scuola e dell'università, la salvaguardia del patrimonio ambientale e culturale, e istituendo la Camera delle Regioni;
6) il bilancio partecipativo, il riconoscimento delle forme di partecipazione, il ruolo della cooperazione decentrata sono aspetti innovativi e strategici di una nuova impostazione.
Tutto questo richiede un'azione energica per difendere l'indipendenza della magistratura e perché il diritto alla giustizia sia garantito anche ai più deboli e agli esclusi, per affermare la legalità e recidere le nuove connivenze tra mafia e politica e tra politica e corruzione.
Intendiamo promuovere un'iniziativa non solo perché si combatta il conflitto di interessi, ma perché specie con l'avvento della televisione digitale si affermi una nuova pluralità nel controllo dei mezzi e della pubblicità, e perché sul terreno dei contenuti e della qualità televisiva la sinistra si qualifichi con una battaglia forte e riconoscibile.
Verso il nuovo Ulivo, una sinistra nuova e plurale
Rinnoviamo la convinzione che l'alleanza di centrosinistra che occorre promuovere dovrà superare in radice i limiti di quella che ha perso nel 2001. Nei rapporti con Rifondazione, se ad oggi non è ipotizzabile un ingresso a pieno titolo in un nuovo Ulivo, tuttavia si deve immaginare intanto qualcosa di assai più impegnativo rispetto alla desistenza senza programmi del 96: almeno un progetto, attorno a tre, quattro grandi convinzioni comuni, che non ancora programma organico di governo, definisca un ambito comune. Noi intendiamo lavorare per tessere questa tela, e per aprire il nuovo Ulivo, oltreché organicamente all'Italia dei valori, a tante istanze che non sono facilmente classificabili secondo i canoni dell'attuale politica italiana.
Aprile per la sinistra si è mosso, oltreché per gettare questo ponte, per ricostruire fondamenta culturali e ideali solide e riconoscibili della sinistra italiana. Non vogliamo quindi nascondere un’ambizione più grande: quella di allargare i confini politici e culturali delle socialdemocrazie, e di superare la pigrizia che scaturisce dalla teoria sull’ineluttabilità di due –oggi addirittura di tre- sinistre. Le sinistre sono ben più di due, o di tre. Ed è solo una grande idea di sinistra plurale che può esprimere ad un tempo le diversità e l’unità di un campo di forze animato da valori e idee comuni.
Torna il tema che abbiamo posto al primo punto. Come costruire il programma, la partecipazione, le scelte delle persone, un'idea più ricca e calda della politica.
Aprile, davvero, senza presunzione o atteggiamenti esclusivi, può diventare un laboratorio di un cantiere più grande. Il tempo non è molto, perché un'alternativa a Berlusconi si impone presto. Facciamo appello al coraggio, allo spirito costruttivo e unitario, alla voglia di cambiare di tanti e tante che in questi mesi hanno preso la parola.
Roma, marzo 2003